Un decreto vuoto. Per qualcuno soltanto propagandistico ed elettorale, utile solamente ad attrarre qualche voto in vista delle elezioni europee di giugno e senza provvedimenti che possano realmente avere un impatto sulla sanità pubblica. Tanto più se consideriamo le risorse quasi inesistenti messe a disposizione per risolvere davvero il problema. Il decreto liste d’attese si appresta a essere approvato in seconda lettura dalla Camera dei deputati, con il voto finale atteso oggi, dopo le dichiarazioni di voto che inizieranno alle 11.
Ieri l’Aula di Montecitorio ha prima respinto le pregiudiziali con 162 voti contrari e 90 favorevoli, e poi ha completato l’esame degli emendamenti, respingendoli tutti. Dopo si è passati agli ordini del giorno. Approvati uno di Fratelli d’Italia e uno delle opposizioni che chiedono un impegno per la stabilizzazione del personale Aifa.
In rivolta
Ma le proteste dell’opposizione contro il decreto per tagliare le liste d’attesa non si sono placate, anche perché non è cambiato il provvedimento, rimanendo – come viene definito proprio dalla minoranza – una scatola vuota e nient’altro che un atto di propaganda che non risolve concretamente nulla sulle liste d’attesa. Punto sollevato, per esempio, dalla capogruppo di Alleanza Verdi-Sinistra alla Camera, Luana Zanella, che evidenzia come il decreto non risolva “nessuna delle criticità” che causano le liste d’attesa infinite nella sanità “e che hanno determinato l’abbandono delle cure da parte di milioni di persone”.
Anzi, sottolinea Zanella, il decreto “aumenta la burocrazia, prevedendo almeno 7 decreti attuativi, ma non aumenta le risorse e non prevede un piano straordinario di assunzioni, sottoponendo ogni previsione al vincolo delle risorse disponibili”.
L’unica certezza, per Zanella, è che il provvedimento “promuove i privati: l’articolo 3 prevede la costituzione di un Centro Unico di Prenotazione che includerebbe le strutture sanitarie private alle quali, per l’accreditamento, non viene richiesto il possesso di prestazioni e servizi sanitari con gli stessi requisiti organizzativi e di organico della sanità pubblica, e neanche l’obbligo di essere in regola con i rinnovi contrattuali in modo parallelo a quelli previsti dalla sanità pubblica e alle scadenze contrattualmente fissate. Un regalo alle lobby della salute che noi non possiamo accettare”.
Scatola vuota
Il provvedimento è nient’altro che una “scatola vuota” per Andrea Quartini, capogruppo del Movimento 5 Stelle in commissione Affari sociali alla Camera. Un “meccanismo propagandistico” che verrebbe confermato anche dalla “difficoltà della maggioranza a replicare alle nostre dichiarazioni”.
In un Paese in cui mancano, secondo le stime, 5mila medici di famiglia, 150mila infermieri e 180mila Oss, il problema andrebbe affrontato diversamente a suo avviso. Per Riccardo Ricciardi, vicepresidente del Movimento 5 Stelle, siamo di fronte a una “schifosissima operazione di marketing politico, in cui si individua nei problemi della sanità un bacino di voti. Si fa quindi un decreto per prendere dei voti senza però metterci niente. Questo è quello che milioni di persone hanno subito e continuano a subire: si va oltre la politica, è una becera e gravissima strumentalizzazione”.
Torna sulla pregiudiziale di merito il deputato del Pd, Marco Furfaro, presentata dai dem perché ritiene il provvedimento una “scatola vuota, senza norme di sostanza e interventi strutturali. Un provvedimento mirato a distruggere il Ssn e a favorire il sistema privato che non inciderà per niente sulle lunghissime liste d’attesa”.
Per Furfaro a un problema urgente come quello delle liste d’attesa, il governo ha “risposto con un decreto fuffa: siete celeri nel fare condoni ma rimandate a data da destinarsi persino le poche misure che avete previsto per la sanità. Finanziate appalti dell’immigrazione all’Albania, società di calcio ed evasori ma non riuscite a dare un euro per le persone che soffrono né per il personale medico”, accusa l’esponente dem. Critiche arrivano anche da Azione, con il deputato Antonio D’Alessio che annuncia il voto contrario a un provvedimento “che non risolve i problemi e, soprattutto, non prevede le necessarie coperture finanziarie”.