Il popolo e la nazione sono unità non frammentabili. Esiste una sola nazione così come vi è solo un popolo italiano, senza che siano configurabili ‘’popoli regionali’’. È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza della Corte costituzionale depositata ieri dopo i ricorsi di Toscana, Puglia, Campania, Sardegna alla legge sull’Autonomia differenziata. Massimo Villone, professore emerito di Diritto costituzionale nell’Università “Federico II” di Napoli, che ne pensa?
“Ne penso tutto il bene possibile. Lo slogan leghista è quello dei popoli regionali: padano, veneto. Zaia ogni giorno parla del popolo veneto che è andato a votare ‘sotto la pioggia’ per il referendum del 2017”.
La Consulta dice che vi sono alcune funzioni non trasferibili.
“No, non dice che non sono trasferibili in assoluto ma dice due cose. La prima è che il trasferimento di funzioni mai di materie – questo è un passaggio significativo – dev’essere giustificato. Dev’esserci un’istruttoria che ne dimostra la giustificazione e la convenienza complessiva non semplicemente la convinzione che a livello regionale si fa meglio qualcosa. Questo nega lo shopping al supermercato delle competenze. Il secondo punto è che in alcune materie la giustificazione è particolarmente difficile. Si tratta di materie che toccano il sistema Paese, dal commercio con l’estero (per la gioia di Tajani) alle professioni, dall’energia alle grandi reti di comunicazioni. Materie già emerse nel dibattito dottrinario, nelle audizioni, come materie non idonee per essere frammentate. Ebbene la Corte dice che per queste materie il trasferimento di funzioni dev’essere giustificato attentamente e sarà assoggettato a uno scrutinio severo di legittimità costituzionale. Dice cioè terrò gli occhi particolarmente aperti su queste materie. È questo un passaggio significativo per il futuro, che tocca tutta l’attuazione dell’articolo 116”.
Secondo la Consulta spetta solo al Parlamento il compito di comporre la complessità del pluralismo istituzionale.
“Questo è un altro tassello del mosaico che la Corte disegna. Ovvero la Corte dà una lettura di sistema dell’articolo 116, terzo comma. Lo mette nel quadro di un assetto complessivo della Costituzione. È questa l’unica lettura giusta e possibile. Io ho apprezzato molto questa sentenza”.
I criteri direttivi per il Lep vanno modulati, dice ancora la Corte.
“Qua c’è il punto della delega che la Corte dichiara come illegittimità costituzionale perché viola l’articolo 76 della Costituzione. Nella giurisprudenza della Corte non si esclude che ci sia una determinazione, come i giuristi dicono, per relationem dei principi e dei criteri direttivi della delega che l’articolo 76 richiede. Però nel caso specifico non ci sono, perché il riferimento è alla legge di Bilancio 2023, commi da 791 a 801 che però a loro volta non pongono principi e criteri direttivi idonei. Dunque è la delega che manca della sostanza necessaria di partecipazione parlamentare nella determinazione dei principi e criteri direttivi”.
“L’Autonomia deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici”, dice la Corte.
“Qui la Corte sta attaccando il principio della spesa storica perché tutto va verificato in chiave di efficienza ed economicità. La spesa storica può essa stessa nascondere un’inefficienza. E dunque se uno non abbandona quel principio in realtà nega la premessa, cioè che la maggiore Autonomia sia nella chiave di un miglioramento del rendimento degli apparati pubblici. Come dire: ripartiamo da zero e vediamo cosa è più efficiente e quanto ci costa. E questo a mio parere è un altro no a Calderoli. La Corte secondo me ha detto tutto quello che poteva dire. In realtà ho anche qualche punto di dissenso per esempio laddove dice che sono trasferibili anche funzioni legislative. Che potrebbe essere un principio pericoloso. Però siccome la Corte riserva a sé stessa, e lo dice con molta chiarezza, il controllo su quello che sarà, questo ci rassicura anche su questo punto. E la Corte ci dice che sarà un guardiano occhiuto del processo di attuazione della legge”.
Secondo lei il quesito referendario resta in piedi?
“Forse verrà disinnescato quello parziale presentato dalle Regioni perché riguarda alcuni articoli su cui cade la sentenza della Corte che è manipolativa, ovvero sostituisce il suo testo a quello legislativo. E qui bisogna che la Cassazione dica se il quesito rimane in piedi, se si trasferisce sulla nuova normativa come risulta dalla sentenza della Corte o se perde il suo oggetto. Il quesito referendario totale, secondo me, non perde il suo oggetto perché la legge rimane in larga parte vigente, dal momento che non c’è illegittimità della legge come tale. La Cassazione sul quesito abrogativo totale credo, dunque, darà disco verde, su quello parziale si vedrà e poi si va alla Corte costituzionale per l’ammissibilità”.