di Valeria di Corrado
La legge – anticorruzione – non è uguale per tutti. I magistrati sono i primi ad essere stati “graziati” dalla norma per il contrasto alla corruzione approvata in Parlamento, dopo un lungo dibattito, lo scorso 6 novembre. Anche se tutto questo sfocia inevitabilmente in un pericoloso conflitto di interesse. Il testo (art. 1 comma 67) prevedeva infatti che il Governo adottasse, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge (ossia entro il 28 marzo 2013), un decreto legislativo che potesse fare finalmente ordine nel mondo dei doppi incarichi assegnati ai magistrati, divisi tra tribunali e organi istituzionali o enti pubblici. In modo da stabilire per quali fosse necessario collocare fuori ruolo i giudici amministrativi, ordinari, contabili, militari, gli avvocati e i procuratori dello Stato. Il termine, però, è scaduto senza che il Governo approvasse il decreto, lasciando tutto com’era.
La prima restrizione
La legge anticorruzione ha previsto già una prima restrizione in questo mare magnum di doppi ruoli. Segretario e vice segretario generale della Presidenza della Repubblica, della Corte Costituzionale, dei ministeri, del Consiglio dei ministri, del Cnel e delle autorità amministrative indipendenti, ad esempio, sono ora obbligati ad essere collocati fuori ruolo per tutta la durata del loro incarico. Il deputato del Pd della scorsa legislatura, Roberto Giachetti, non si era però accontentato di questo primo traguardo e aveva inserito un articolo all’interno del disegno di legge Alfano che ampliasse ulteriormente le “incompatibilità”. “In Senato – spiega Giachetti – le deroghe per i magistrati sono state riinserite tramite un maxi-emendamento che ha annacquato il senso del mio articolo. Come contentino è stata inserita nelle legge anticorruzione una delega con la quale si assegnava al Governo il compito di disciplinare la materia. Il seguito della vicenda dimostra che non c’era nessuna intenzione di andare in questa direzione”.
La seconda restrizione “mancata”
In pratica, il decreto legislativo è stato messo appunto (così come prevedeva la delega), imponendo il collocamento fuori ruolo dei magistrati che ricoprono anche incarichi considerati non apicali. Tra questi rientrano i vice ministri, i sottosegretari, i capi degli uffici legislativi dei ministeri con portafoglio, i presidenti e direttori di enti pubblici non economici, ecc. Il provvedimento è stato deliberato dal Consiglio dei Ministri il 22 gennaio scorso e trasmesso alle Camere il 29 gennaio. Le commissioni competenti non hanno potuto esprimere il loro parere in merito, a causa dello scioglimento anticipato delle Camere. Si trattava comunque di un parere non vincolante. Eppure il Governo ha lasciato cadere nel vuoto il decreto legislativo, che lo scorso 28 marzo è quindi decaduto. “È un atto di arroganza e sfregio al Parlamento – si sfoga il deputato del Pdl Enrico Costa – Grazie all’appoggio di autorevoli esponenti del Consiglio dei ministri si sono voluti conservare i privilegi di questi magistrati del doppio incarico”. Nella stragrande maggioranza dei casi sono giudici amministrativi o contabili. Il loro regolamento interno, infatti, gli permette di ricoprire contemporaneamente più ruoli. E così la mattina si dirige l’ufficio legislativo di un ministero e il pomeriggio si indossa la toga pronti a giudicare chi ha infranto quella legge. Il conflitto di interessi tra le funzioni esercitate presso l’amministrazione di appartenenza e quelle esercitate in ragione dell’incarico ricoperto fuori ruolo è palese. La confusione tra i poteri (esecutivo e giudiziario) evidente.
Un’ulteriore falla nella legge anticorruzione che già aveva registrato il suo primo “pit-stop” quando l’Autorità nazionale anticorruzione (Civit), a pochi giorni dalla scadenza, ha comunicato che il termine del 31 marzo per le amministrazioni non è “perentorio” per adottare il piano di prevenzione della corruzione.