di Francesco Nardi
Ufficialmente è presto per fare nomi, ma in realtà la corsa alla presidenza della fantomatica Convenzione per le riforme è già a uno stadio avanzato.
Il totoministri per ora tiene banco, e quindi l’argomento resta sullo sfondo, ma in verità anche il giro di nomine del sottogoverno appare fortemente condizionato da quanto si deciderà (o più correttamente si sta già decidendo) per l’assise che dovrà realizzare buona parte del programma dei saggi nominati da Napolitano.
Berlusconi ha aperto le danze, ma la sua è stata solo una mossa strategica finalizzata ad accumulare crediti. Proponendosi come presidente, e ben sapendo di avere pochissime chance di passare, ha infatti messo la trattativa in discesa verso i suoi complessi interessi. E al momento sembra che la tattica stia fornendo ottimi risultati.
La poltrona è comprensibilmente ambita, non solo per l’alto valore di scambio e per la rilevanza politica che ne consegue, ma anche per il portato storico della missione. Chi guiderà la convenzione si troverà nei panni di novello padre della Patria e sono in molti ad essere attratti da tale aspetto della vicenda. L’affare però è complicato. Di certo la strada, oltre che per Berlusconi, sarà sbarrata per qualsiasi altro esponente del Pdl, giacché l’organismo dovrà “dialogare” e confrontarsi per forza di cose con il titolare del ministero per le Riforme, ora occupato dal pidiellino, e gia saggio, Gaetano Quagliariello. Altrettanto vale per i piddini che si devono già considerare ampiamente soddisfatti dall’aver ottenuto, nell’ambito della grande alleanza, la presidenza del Consiglio. Ed ecco quindi che spunta la carta leghista.
Il Carroccio non nega l’interesse per la partita e vanta tra le sue file un “tecnico” dei regolamenti trasversalmente apprezzato, al di là degli scivoloni stilistici: Roberto Calderoli. Si tratta di un’opzione che andrebbe benissimo al Pdl ma che risulta più indigesta al Partito democratico. Lo scoglio però potrebbe essere superato sulla strada dell’apertura di credito che la Lega ha per ora concesso al governo presieduto da Enrico Letta.
Manca solo lo spunto decisivo perché la strada di Calderoli possa spianarsi. L’occasione può cogliersi – dicono i bene informati – a margine della vicenda che ha visto Mario Borghezio attaccare violenetemente il neo ministro Keinge. La cosa non è andata giù a molti anche nella stessa Lega, al punto che si fanno strada voci di una possibile espulsione dell’esponente leghista. Ipotesi che, se si concretizasse, potrebbe agevolare di molto il dialogo con il Pd.