E niente, proprio non ci vogliono stare. Nella Lega ancora non riescono a farsi una ragione che le elezioni politiche, Costituzione alla mano, si tengono ogni cinque anni e non ogni cinque Mojito, come pensava forse Matteo Salvini tra le cubiste della famigerata spiaggia del Papeete a Milano Marittima. E in attesa della spallata, periodicamente tentata (a gennaio in Emilia con Lucia Borgonzoni) e sistematicamente fallita (stavolta con il remake di Susanna Ceccardi in Toscana) ad ogni tornata elettorale, nel Carroccio ci si ingegna come si può. Elaborando ardite dottrine costituzionali che, per i giureconsulti padani, basterebbero da sole ad imporre al Governo Conte di sloggiare.
“I Cinque Stelle hanno chiesto il voto per il Sì (al referendum sul taglio dei parlamentari, ndr) finalizzato ad avere istituzioni più efficienti con un Parlamento di solo 600 eletti. Il Popolo sovrano ha scelto”, argomentava, con piglio deciso, il capogruppo della Lega a Montecitorio, Riccardo Molinari (a dx nella foto con Salvini), l’esito della consultazione con la quale gli italiani hanno approvato con un plebiscito (quasi il 70% dei consensi) la riforma costituzionale. “Ora la logica conseguenza sarebbe che si sciogliessero le Camere per sperimentare finalmente l’efficienza conquistata con la riforma – ha aggiunto -. Anche perché, sarebbe strano avere un Parlamento non in linea con la Costituzione nella sua composizione e ancora più strano pensare che un Parlamento sfiduciato dai cittadini possa scegliere il prossimo Presidente della Repubblica”.
Curiosa teoria sin dall’incipit. Con la sottolineatura del Sì al referendum “chiesto” dai Cinque Stelle. Come se a volere la riforma, fosse stato solo il Movimento e non anche la Lega che pure l’ha votata quattro volte in Parlamento. Un sospetto legittimo se pezzi da novanta del partito, come il governatore della Lombardia Attilio Fontana e l’ex sottosegretario Giancarlo Giorgetti, si sono schierati apertamente per il No. E soprattutto, se dopo il via libera definitivo delle Camere al taglio dei seggi, nove senatori del Carroccio si sono precipitati in soccorso dei colleghi di Forza Italia mettendo la propria firma sulla richiesta di referendum per bloccare la riforma. Ma non è tutto. La “logica conseguenza” della vittoria del Sì sarebbe, secondo il ragionamento leghista, lo scioglimento delle Camere. Perché “sarebbe strano” avere un Parlamento “non in linea con la Costituzione”.
Peccato che sia proprio la legge costituzionale appena approvata dai cittadini – e che quelli del Carroccio dovrebbero conoscere bene avendola condivisa, proposta e votata con i 5 Stelle ai tempi del governo gialloverde – ad escludere ogni fraintendimento al riguardo. Prevedendo espressamente che le nuove disposizioni si applichino “a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore” della riforma. Ergo: il Parlamento in carica non solo è perfettamente in linea con la Costituzione, ma è anche pienamente legittimato, checché ne pensino nella Lega, ad eleggere il prossimo presidente della Repubblica. Del resto, a prendere per buona la teoria del Carroccio, bisognerebbe sollevare analoghe obiezioni sulla legittimità del Parlamento che – insediato nella scorsa legislatura con una legge elettorale dichiarata illegittima (a dicembre 2013) dalla Corte Costituzionale – ha eletto (a febbraio 2015) l’attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
P.S.: la legge elettorale in questione era il Porcellum, che il suo stesso ideatore, il leghista Calderoli, definì una porcata.