C’è qualcosa di tremendamente ironico nel vedere Olivér Várhelyi, fedelissimo di Viktor Orbán, arrancare sui diritti delle donne per conquistare la poltrona di Commissario europeo. L’uomo che dovrebbe occuparsi della salute dei cittadini Ue si è presentato all’audizione del Parlamento europeo con un bigino di luoghi comuni che farebbe sorridere se non fosse drammaticamente serio: “Sono un alleato delle donne perché ho una moglie e tre figlie”, ha detto con la stessa convinzione di chi dice di non essere razzista perché ha un amico di colore.
Il Parlamento Ue alza il muro su Várhelyi
Ma il Parlamento europeo questa volta non ci sta. Per la prima volta in questa tornata di audizioni dei commissari designati, gli europarlamentari hanno alzato il cartellino giallo (tendente al rosso). Várhelyi è l’unico dei 16 commissari fin qui esaminati a non aver ottenuto il via libera immediato. Una bocciatura che sa di diffidenza politica ma anche di sostanza.
Il commissario ungherese, già responsabile dell’Allargamento nella Commissione von der Leyen, si è trovato sotto il fuoco incrociato di domande su diritti riproduttivi, vaccini e benessere animale. E le sue risposte hanno convinto solo l’estrema destra e i conservatori dell’Ecr, insufficienti per raggiungere quella maggioranza dei due terzi necessaria per l’approvazione.
“Le risposte date da Várhelyi non hanno soddisfatto le aspettative di Renew Europe”, hanno fatto sapere i liberali europei, mentre i Verdi, per bocca di Sara Matthieu, hanno espresso “profonda preoccupazione nel sentire un potenziale commissario alla salute dire che l’aborto non è una questione medica”.
Il commissario designato ora ha 24 ore per rispondere a una nuova serie di domande scritte. Una specie di compito a casa che sa tanto di ultima chiamata. Gli eurodeputati vogliono sapere come intenda promuovere concretamente i diritti delle donne nel suo ruolo, quali passi farà per garantire l’accesso alla salute sessuale e riproduttiva, come affronterà l’esitazione vaccinale e la disinformazione – anche nel suo paese d’origine.
L’ombra lunga di Orbán
Non è solo questione di competenza tecnica. L’ombra di Viktor Orbán aleggia pesante su questa nomina. Várhelyi porta con sé il peso politico di rappresentare un governo che ha fatto della guerra ai diritti una bandiera ideologica. E non ha aiutato il suo curriculum da “bad boy” delle istituzioni europee: solo l’anno scorso aveva definito “idioti” gli europarlamentari, un’uscita per cui non si è ancora scusato spontaneamente.
La presidente von der Leyen, che pure si è spesa in un incontro dell’ultima ora con i capigruppo di Ppe, S&D e Renew, ora si trova di fronte a un dilemma: insistere su una nomina che rischia di trasformarsi in un boomerang politico o cercare un’alternativa meno divisiva? C’è chi, come Renew Europe, aveva ventilato l’ipotesi di un ridimensionamento delle competenze di Várhelyi, privandolo dei dossier più sensibili come vaccini e diritti riproduttivi. Ma sarebbe come ammettere l’inadeguatezza del candidato mantenendolo comunque in sella.
Lunedì prossimo gli europarlamentari si riuniranno per valutare le risposte scritte del commissario designato. Se non dovessero raggiungere la maggioranza dei due terzi, la palla passerebbe alle commissioni al completo, dove basterebbe una maggioranza semplice. Ma sarebbe comunque una vittoria di Pirro, un commissario zoppo prima ancora di iniziare il suo mandato.
In questa vicenda c’è tutto il paradosso dell’Europa di oggi: un commissario espressione di un governo illiberale chiamato a gestire temi sensibili come la salute e i diritti, in un equilibrismo politico che rischia di trasformarsi in farsa. O forse è proprio questo il punto: mettere alla prova la capacità dell’Unione di difendere i suoi valori fondamentali, anche quando significa dire dei no scomodi. Várhelyi ha 24 ore per convincere gli scettici. Ma forse questa volta non basterà avere una moglie e tre figlie per dimostrare di essere dalla parte giusta della storia.