di Angelo Perfetti
La lista del patrimonio mondiale include 981 siti che formano parte del patrimonio culturale e naturale; l’Italia è il Paese che ne possiede il numero maggiore, ben 49, seguita da Spagna, Cina, Francia, Inghilterra e Usa. Oltre 3.400 musei, circa 2.100 aree e parchi archeologici. E poi monumenti, collezioni private. Numeri da far venire i brividi. Soprattutto se confrontati con altri numeri, quelli messi in bilancio dalla Stato italiano per il ministero competente: per il 2013 sono stati stanziati 47 milioni. No, non è un refuso: per la precisione 47 milioni 777.663 euro di fondi ordinari per coprire i settori Istituti e Musei centrali, Beni librari, Archivi, Antichità, Beni archiettonici, Beni storico-artistici ed etnoantropologici, architettura e arte contemporanea. Compresi, in quei soldi, anche i costi delle sedi e del personale. Vogliamo stupirci poi se la nostra bella Italia cade a pezzi? La situazione di Pompei è un problema a sé. Sta cadendo a pezzi a seguito di una dissennata gestione del patrimonio italiano perpetrata negli anni, ma oggi è destinataria di un cospicuo finanziamento europeo che ha preso il nome di Grande Progetto Pompei. I tre crolli avvenuti negli ultimi tre giorni nell’area archeologica di Pompei – prova a spiegare il direttore generale, Luigi Malnati, che in questo momento regge la Soprintendenza dei Beni archeologici di Pompei – sono “stati causati, ancora una volta, dal maltempo e dalle forti piogge”. Per Malnati le piogge copiose cadute su Pompei in queste ore sono le “stesse che hanno provocato danni in tante altre località. Questo avviene in un sito di età romana, con strutture antiche conservate anche in elevato, che sono alla luce da più di due secoli”.
Come dire: i lavori di restauro sono finanziati e li stiamo facendo, ma è possibile che con le piogge qualche intemperia faccia danni. Posizione apparentemente corretta, se non fosse per un particolare. “Pompei – afferma il senatore Andrea Marcucci (Pd), presidente della commissione Cultura a Palazzo Madama – rappresenta alla perfezione il paradosso di Achille e la tartaruga. Senza la manutenzione ordinaria, è inutile qualsiasi intervento di restauro, ci sarà sempre qualche emergenza da inseguire. Vanno semplificate al massimo le procedure di assegnazione dei lavori, oggi appesantite da troppe pastoie burocratiche”. E anche legali, se è vero come è vero che il più delle volte tra ricorsi al Tar e sentenze del Consiglio di Stato riusciamo a bloccare i lavori il tempo necessario per perdere i finanziamenti europei che, se non utilizzati entro un lasso di tempo definito, tornano a Bruxelles. La situazione è questa: pochi soldi, nella cultura non si investe, spesso perdiamo anche i finanziamenti. Così si mortifica l’indotto turistico ricettivo, con tanti saluti al Pil. Il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, fonde in un tweet l’Oscar a ‘La grande Bellezza’ e l’ennesimo crollo a Pompei: “Nella notte Sorrentino vince l’oscar e crolla un altro muro a Pompei. E’ una lezione: credere nella nostra bellezza e tutelarla con orgoglio”. Il tweet è fatto. Ora manca tutto il resto.
La nostra storia valutata 234 miliardi
La Corte dei Conti ha preparato le carte per citare le tre maggiori agenzie di rating internazionali, Moody’s, S&P, e Fitch per il downgrade dell’Italia del 2011 e chiedere danni per 234 miliardi di euro per “aver trascurato l’alto valore del patrimonio storico, culturale e artistico del nostro paese che universalmente riconosciuto rappresenta la base della sua forza economica”. Un modo per alzare la testa di fronte alla finanza internazionale, ma la soluzione è poco credibile. Non tanto e non solo perché difficilmente monetizzabile, quanto piuttosto per la contraddizione intrinseca di un Paese come il nostro che investe appena 47 milioni nella manutenzione ordinaria dei propri beni, i cosiddetti fondi ordinari, che sono poi il termometro con il quale valutare l’impegno di una nazione in un determinato settore. Certo, poi ci sono decine di milioni per i fondi straordinari (ma attengono al capitolo delle “emergenze”) e centinaia di fondi europei (che invece attengono al capitolo “progetti”). Ma il quotidiano scorrere della vita culturale, chi lo finanzia? E se non lo facciamo noi, come possiamo pensare che alla lunga ci sia qualcun altro (Unione europea) che vada costantemente a coprire i nostri buchi?