l referendum sulla Giustizia è stato un vero flop, con una partecipazione ai minimi storici. Eppure il Centrodestra in questi mesi ha fatto di tutto per invitare gli italiani al voto. Consigliere Sebastiano Ardita, lei come si spiega che i cittadini hanno ignorato tali appelli e causato quella che appare come una débâcle?
“Le ragioni sono molteplici e non solo riconducibili alla disaffezione dei cittadini per i referendum. In primo luogo vi è la contraddittorietà dei quesiti, tanto complessi da comprendere e da spiegare quanto privi di effetti positivi sul funzionamento della Giustizia. Vale la pena di ricordare che ve ne era uno che prevedeva di abolire la custodia cautelare per chi reitera i reati e uno contro la legge Severino. Ora lei ce lo vede un elettore di destra che va a votare per impedire che vada in carcere uno che gli ha rubato in casa o per consentire a un sindaco condannato per corruzione di rimanere in sella? Non parliamo poi del referendum che pretendeva di risolvere il problema delle correnti dei magistrati abolendo una norma che richiede appena 25 firme per candidarsi alle elezioni del Csm. Uno che non raccoglie 25 firme come fa a prendere mille voti per essere eletto? Ecco a chi obiettava che questi referendum non valevano nulla, qualcuno ha risposto che avrebbero avuto un significato politico di sfiducia verso i giudici legittimando il parlamento ad una forte azione riformatrice. Quindi ricapitolando: i cittadini eleggono i propri rappresentanti non perché agiscano con azioni riformatrici, ma perché appoggino referendum senza capo né coda solo per essere incoraggiati a riformare…”.
Quel che è certo è che il mancato quorum al referendum non significa che la Giustizia non cambierà. Anzi proprio questa settimana, al termine di un lungo iter, approda in Senato la riforma Cartabia. Molti magistrati giudicano questa riforma ‘punitiva’. Lei cosa ne pensa?
“Non è una riforma punitiva per i magistrati, lo è più che altro per i cittadini. La giustizia funzionerà peggio e con minor efficacia, la lunghezza del processo andrà a danno delle vittime dei reati, nel Csm le correnti saranno più forti, gli avvocati valuteranno i magistrati che giudicano i loro clienti. Mi sembra un bel regalo per il popolo italiano”.
Tra le altre cose, la riforma Cartabia affronta diversi punti contenuti nei quesiti referendari. Ma davanti al fatto che i cittadini non si sono recati alle urne, come faranno i parlamentari ad andare avanti come niente fosse?
“Infatti secondo me non possono più andare avanti perché hanno giocato e perduto una partita molto pericolosa. Se volevano fare queste riforme che bisogno c’era di sentire come la pensa il popolo con i referendum? Invece adesso si trovano davanti ad un dato enorme. E cioè che quella frazione minuscola di italiani che sono andati a votare non hanno affatto determinato una affermazione schiacciante dei si. Anzi tutt’altro. Nei primi due referendum su legge Severino e custodia cautelare il Si era poco sopra il 50% e negli altri nessuna maggioranza schiacciante. Se aggiunge che la stragrande maggioranza dei contrari non è andata a votare, si renderà conto dell’effetto boomerang che si è creato”.
Uno dei temi affrontati dal refenderum e anche dalla riforma Cartabia è la separazione delle funzioni. Con il testo della ministra sarà possibile un solo passaggio nel penale, da requirente a giudicante e viceversa, sarà consentito il passaggio entro i primi 10 anni dalla prima assegnazione. Nessun limite temporale, invece, nel civile. Come giudica questa soluzione?
“Mi sembra una soluzione adottata da chi non conosce i magistrati e non ha mai frequentato le aule di giustizia. I giudici più garantisti sono quelli che hanno fatto i pubblici ministeri. E le ragioni sono molteplici, sia di ordine tecnico che psicologico”.
Non c’è dubbio che una delle priorità è risolvere il fenomeno del correntismo nel Csm che ha dato luogo a vicende spiacevoli. Per diverso tempo si è parlato del sorteggio come possibile soluzione, tanto che inizialmente era stato inserito nella riforma Cartabia per poi sparire nel nulla dopo i contrasti nella maggioranza. Lei del sorteggio cosa ne pensa?
“Penso che sia una soluzione radicale – magari temporanea – ma indispensabile a contrastare un sistema di potere micidiale come quello dei gruppi organizzati. Il problema è che la politica non ha alcun interesse ad attenuare quella che di fatto è una situazione di dipendenza e di ‘controllo’ dei magistrati. I politici hanno tutto l’interesse a sfruttare la cattiva fama delle correnti per infangare tutta la magistratura, ed a mantenerle in vita per dialogare – in posizione di forza – con gli esponenti di una magistratura verticale e gerarchicamente sottomessa, sia pure ad un potere interno. Una magistratura orizzontale e realmente indipendente, all’esterno e all’interno, fa paura. Ecco perché non vogliono introdurre il sorteggio.
Uno dei maggiori nodi da affrontare è quello delle cosiddette porte girevoli. Con il nuovo testo i magistrati che decideranno di ‘scendere’ in politica non potranno più tornare ad indossare la toga. Questa soluzione la convince?
“È un problema fondamentale. Sono sempre stato dell’avviso che un magistrato che fa politica non debba più tornare indietro. Ma le soluzioni in concreto sulla incandidabilità non mi convincono tutte. I magistrati che fanno politica per fortuna sono sempre meno, ma così sembra proprio che i politici temano la loro concorrenza”.