Dopo il flop del referendum, la Giustizia resta appesa alla riforma Cartabia che è al vaglio del Senato. Un testo che gran parte della magistratura giudica “punitivo”, quasi una rivalsa della politica. Altri fanno notare come sembra sia stata scritta da chi non ha mai calcato un’aula di tribunale. Lei che ne pensa della riforma?
“Complessivamente è un pannicello caldo che non risolve nessun problema. A mio avviso la riforma della Giustizia andrebbe fatta ma in modo ben più radicale di quanto proposto dalla ministra Cartabia. Il suo è un testo che affronta temi di pancia, per giunta senza nemmeno creare soluzioni. Guardi la riforma elettorale del Consiglio superiore della magistratura che è totalmente inutile perché il potere delle correnti non sarà scalfito dalle modifiche proposte, oppure la valutazione dei magistrati dove cambierà pochissimo e le correnti troveranno modo per far valere il loro potere. Glielo dico molto chiaramente: per fare una buona riforma era necessario mettersi a un tavolo con tutte le componenti e soprattutto con i peones che sono quelli che vivono tutti i giorni le aule di Giustizia. Ma non è stato fatto e ciò conferma che in Italia chi scrive le riforme non ha mai la cultura e la conspaevolezza di cosa accade davvero nelle procure e nei tribunali. Eppure basterebbe andare negli uffici giudiziari per rendersi conto che la situazione è allo sbando tanto che numerosi collegi giudicanti sono composti da due giudici e non da tre. Non solo. Le faccio presente che nella quotidianità del nostro lavoro, non riusciamo a dare una risposta rapida ai cittadini perché ci viene reso impossibile farlo. Questo perché continuiamo ad arrovellarci con cause totalmente inutili e destinate inevitabilmente alla prescrizione, per reati bagatellari a cui continuiamo a riservare la sanzione penale. Ma com’è possibile non rendersene conto?”.
In queste ore fa discutere il fatto che la Lega, vera sconfitta in queste consultazioni, intende portare avanti i quesiti referendari proponendoli come emendamenti alla riforma Cartabia. Questo perché “si deve tenere conto dei 10 milioni di persone che hanno votato”. Non le sembra una giustificazione di comodo per portare avanti una battaglia personale visto che i cittadini non hanno dimostrato grande interesse al referendum tanto da aver fatto mancare il quorum?
“Non scherziamo. Ma quali problemi risolvono? Glielo dico io: nessuno. Parliamo del quesito che aboliva la richiesta delle 25 firme richieste per presentare la candidatura al Csm, spacciato come sistema per demolire il correntismo. Peccato che ottenerle è possibile già ora senza appoggi. Un esempio è Nino Di Matteo che è diventato consigliere del Csm senza supporto delle correnti. Peccato che arrivato qui, pur portando avanti posizioni serie e condivisibili, non ha ottenuto granché perché è comunque in minoranza. Questo dimostra che il problema non sono le 25 firme ma quel sistema di potere che c’è nel Csm. Diciamolo con serenità, questo referendum è stato un danno per la Giustizia e vorrei anche vedere i dati sull’affluenza sganciati dalle amministrative perché sono sicuro che vedremmo percentuali ben più basse di quanto si immagini. E questo significa che la gente ha capito che quei cinque questi non avevano nulla a che vedere con i problemi concreti della Giustizia. Poi me lo lasci dire: in alcuni punti il referendum era addirittura folle. Basta pensare al quesito sulle misure cautelari che se fosse passato avrebbe lasciato senza tutela le vititme di stalking, i truffatori e i pusher, a cui non si sarebbe potuto applicare neanche un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Una situazione surreale”.
La stessa Lega ha più volte affermato che i quesiti di questo referendum oltre a rendere la Giustizia più efficiente, erano necessari in quanto richiesti dall’Ue per ottenere i fondi del Pnrr. Come stanno davvero le cose?
“È una balla. Non hanno nulla a che vedere con il Pnrr o con le richieste di efficientamento della Giustizia. La verità è che le hanno provate tutte per convincere gli italiani ma hanno fallito”.
Altro nodo è il correntismo nel Csm, culminato in vicende a dir poco spiacevoli. Secondo molti la possibile soluzione per fermare condizionamenti indebiti è quella del sorteggio. Lei che si è sempre battuto contro le correnti crede che questa possa essere una soluzione al problema?
“Il sorteggio è una grandissima sconfitta ma, come vado dicendo da anni, è la chemioterapia necessaria per curare il cancro delle correnti. Mi creda, il sorteggio puro è l’unica soluzione possibile e andrebbe mantenuto per una decina di anni così da dare tempo al Csm per sganciarsi dalle correnti”.