di Sergio Patti
Come se fosse una terra promessa. Conquistata l’Europa con la moneta unica, adesso la Germania diventa la meta delle speranze di milioni di cittadini europei che in tempo di crisi tentano la “fortuna” nell’economia più forte del continente. Nel 2012 la bellezza di 1 milione e 800 mila persone si è trasferita in terra tedesca. Ma ciò che dà più nell’occhio è la composizione di questo flusso. Secondo i dati diffusi ieri da Destatis, ossia l’istituto federale di statistica, una delle maggiori percentuali di crescita dell’immigrazione è targata Italia. Attualmente in Germania si contano 42 mila italiani, cresciuti del 40% tra 2011 e 2012. Si tratta di un trend di poco inferiore agli incrementi che hanno contraddistinto i movimenti di greci e portoghesi da una parte (+43%) e spagnoli dall’altra (+45%). L’andamento dell’immigrazione italiana, invece, è nettamente superiore a quello che per esempio ha caretterizzato i cittadini dell’Europa orientale.
I flussi
In assoluto i polacchi sono il gruppo più numeroso in Germania, con 180 mila persone, seguiti dai rumeni con 116 mila, dai bulgari con 58 mila e dagli ungheresi con 54 mila. Ma l’incremento dell’immigrazione polacca, per fare un raffronto, è stato dell’8%, quello bulgaro del 14% e quello rumeno del 23%. Come si vede, quindi, si tratta di andamenti sensibilmente inferiori rispetto a quelli italiani. Nel complesso si tratta dell’aumento più consistente dell’immigrazione nella Repubblica federale da ben 17 anni a questa parte. I nuovi arrivati sono mediamente più giovani di 10 anni rispetto all’età media dei cittadini tedeschi, e spesso hanno una qualifica culturale e professionale, grosso modo al livello di una laurea.
Lo scenario
Di sicuro i dati dimostrano come la Germania, dopo aver conquistato economicamente l’Europa anche grazie all’avvento della moneta unica, sia in grado di conquistare schiere di cittadini europei. Le cui aspettative, del resto, sono comprensibili se solo di tengono a mente i fondamentali dell’economia tedesca. Secondo le stime recentemente riaggiornate dal ministero dell’economia, infatti, l’economia delle Repubblica federale è attesa in crescita dello 0,5% nel 2013 e dell’1,6% nel 2014. Una situazione che nell’Unione europea, funestata dalla crisi, è quasi un unicum. Ciò non toglie che in ambito comunitario, soprattutto su pressione di Italia, Francia e Spagna, l’austerity predicata dalla Germania dall’alto delle sue positive perfomance economiche viene messa sempre più in discussione.
La partita euopea
Nei giorni scorsi la Commissione europea ha assunto un atteggiamento morbido con paesi che hanno sfondato il rapporto del 3% tra deficit e Pil: per la Francia, che chiuderà il 2013 con un rapporto deficit/Pil al 3,9%, il commissario Olli Rehn ha delineato la possibilità di concedere due anni in più per rientrare al di sotto del 3%. Stessa condizione concessa alla Spagna, che quest’anno chiuderà al 6,5%. L’Olanda, che invece terminerà l’anno in corso con un bel 3,6%, ha strappato un anno in più per il suo percorso di rientro. Quando si tratta dell’Italia, invece, gli sconti arrivano solo dopo aver sudato sette camicie.
E’ su questo terreno che il premier Enrico Letta, secondo spinte ormai sempre più insistenti, dovrà far sentire la sua voce. Anche se in molti hanno ironizzato sugli esiti del suo primo viaggio a Berlino, dove non avrebbe saputo tenere testa all’ortodossia dell’austerity di cui è depositaria Angela Merkel. Eppure il tentativo va fatto. Nei giorni scorsi il nuovo ministro dell’economia, Fabrizio Saccomanni, ha ricordato come nel triennio 2013-2015 l’eventuale uscita dell’Italia dalla procedura di deficit eccessivo potrebbe garantire risorse per 12 miliardi di euro, liberabili in conseguenza di un allentamento del patto di stabilità interno. Un “bottino” troppo importante per non provare a ottenere in qualsiasi modo un po’ di ossigeno in più.