di Nicoletta Appignani
Un paio di mesi di latitanza, poi le manette. Una fuga breve quella dell’ex deputato Amedeo Matacena, arrestato mercoledì a Dubai. L’ex parlamentare di Forza Italia, figlio dell’omonimo armatore che negli anni ‘60 diede vita al traghettamento nello Stretto di Messina, si era reso irreperibile dallo scorso mese di giugno, quando era diventata definitiva una sentenza di condanna a 5 anni e 4 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa. L’ex parlamentare era stato infatti coinvolto nell’inchiesta “Olimpia”, condotta dalla Dia negli anni ‘90, con l’accusa di essere un punto di riferimento della cosca Rosmini, una potente ‘ndrina di Reggio Calabria. Lo scorso giugno, per Matacena viene confermata la pena e con questa anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Portando l’uomo a decidere di rendersi irreperibile.
Tutto da rifare
Matacena inizialmente non si era preoccupato. La prima sentenza, che lo condannava nel 2001 a 5 anni e 4 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa, era stata annullata a Reggio Calabria nel marzo 2006. E ancora, nel 2010 la Corte di Assise di Appello aveva confermato l’assoluzione del primo grado. Insomma, per qualche anno, nessun problema. Il vento aveva iniziato però a cambiare nel 2011, quando un colpo di spugna della Corte di Cassazione aveva smantellato la sentenza di assoluzione dell’ex parlamentare, processato per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio con la cosca Rosmini. Accogliendo il ricorso formulato dalla Procura generale della Corte d’Appello di Reggio Calabria, infatti, la Cassazione aveva bocciato la sentenza dei giudici di merito che “dopo aver accertato che il Matacena si era accordato, tramite un esponente della cosca Rosmini, con potenti cosche che operavano nella provincia di Reggio Calabria per ottenere l’appoggio di dette cosche alla sua elezione, hanno concluso che nessuno dei comportamenti addebitati al Matacena aveva apportato un significativo rafforzamento della cosca Rosmini”. Secondo la Suprema Corte, il fatto che sia stato processualmente accertato che Matacena cercò l’appoggio della ‘ndrangheta per la sua elezione alla Camera nel 1994, non è un fatto da trascurare. “La sola stipulazione del patto – prosegue, infatti, la sentenza di terzo grado – se caratterizzata da serietà e concretezza, era in grado di incidere positivamente sul rafforzamento della cosca Rosmini, ponendola in una posizione di prestigio nei confronti delle altre cosche dal momento che era diventata, per diretta investitura del Matacena, un punto di riferimento per le altre cosche e di coordinamento delle strategie attuate dalle stesse”. La portata dell’accordo, stipulato da Matacena con la mediazione di Giuseppe Aquila (ex consigliere provinciale condannato per mafia), dunque, andava rivalutata. Il 18 luglio 2012 il verdetto: secondo la Corte di Assise di Palermo il patto con i Rosmini vale 5 anni di carcere. Una sentenza, questa, confermata dalla Corte di Cassazione il 6 giugno 2013. Da quel giorno in poi, però, di Matacena si era persa ogni traccia. All’inizio la fuga è alle Seychelles. Viene individuato ma lì, per una serie di motivi, gli investigatori non riescono a intervenire. Così monitorano e aspettano. Ed ecco l’occasione: dopo le isole dell’arcipelago indiano, è la volta di Dubai. All’arrivo all’aeroporto, però, per Matacera scattano le manette: l’ex deputato viene arrestato dall’Interpol e dalla sezione catturandi del nucleo investigativo dei carabinieri di Reggio Calabria.
Le motivazioni
L’individuazione e il fermo dell’ex deputato arriva a pochi giorni di distanza dal deposito delle motivazioni con le quali, lo scorso 14 agosto, la Corte di Cassazione ha spiegato le ragioni della condanna per l’imprenditore. La Suprema Corte ha evidenziato: “Evidentemente non si puo’ stringere un accordo con una struttura mafiosa, se non avendo piena consapevolezza della sua esistenza e del suo modus operandi. Tanto basta per ritenere che Matacena ben sapesse di aver favorito la cosca dei Rosmini. E tanto lo sapeva da aver preteso la esenzione dal ‘pizzo’”.