di Maria Giovanna Maglie
Fuoco amico, scansarsi che sono armi chimiche. Buongiorno senatore Zanda, capogruppo del Pd al Senato, ma prima e forse più intensamente vice presidente del gruppo Espresso, marchio di fabbrica dell’ingegner De Benedetti, di quelli impressi a fuoco. Complimenti, ieri è arrivato primo lei. Si sentiva la mancanza nel circo Barnum della politica italiana della sua intervista all’Avvenire che ci ha animato il giovedì, in cui ribadisce la proposta di ineleggibilità per Silvio Berlusconi, da lei già sottoscritta con i cari compagni di Micromega, in cui pone il veto a una nomina del suddetto Cav a senatore a vita.
È stata quella proposta numerose volte dichiarata inaccettabile? Sì. Tocca a lei decidere le nomine dei senatori a vita? No. Dovrebbe lei, che guida i senatori del Partito Democratico, pesare le dichiarazioni che colpiscono alle spalle il governo guidato dal suo compagno di partito, Enrico Letta, invece di offrire sponda ed argomenti ai nullafacenti del 5stelle? Certo. Sarebbe opportuno che lei e altri che l’hanno preceduta e che la seguiranno risparmino a cronisti ed elettori la manfrina insopportabile dell’assalto alla diligenza seguito poche ore dopo da mezza smentita che conferma, da precisazione che si trattava di opinione personale? Ovvio. Eppure non è così, o non sarebbe il governo più pazzo del mondo nel Paese più pazzo del mondo, zeppo di politici che andrebbero cacciati a calci in culo non per quel che guadagnano, figurarsi se casco nella trappola del diversivo moralista, ma per quel che non fanno, per quel che non sanno fare, perché sono ciucci e presuntuosi, inutili e supponenti, i neo giacobini del 5 stelle in testa.
Ogni giorno allora deve portare una pena, una frase stonata, una stecca, una frase inutile, una dichiarazione malevola, pena il tremendo sospetto che ci sia davvero al governo una coalizione che, pur nella diversità di idee, storia e percorso, si è ritrovata in un luogo comune e sta pensando a fronteggiare l’emergenza economica, a scrivere e varare le riforme troppo a lungo rinviate, a presentarsi agli alleati cannibali europei con determinazione e orgoglio nazionale.
O forse quella coalizione è impossibile in un Paese tanto lacerato, dove gli avversari si vogliono da ventuno anni in galera, in esilio, morti, invece che sconfitti dalla forza della proposta migliore, piegati dalla capacità del fare dell’antagonista; in un Paese nel quale l’esecutivo, il governo e il suo premier, ben poco possono se c’è un Parlamento scatenato a far casino e a non lavorare.
Piazze senza Cavaliere
Berlusconi può aver fatto egregiamente la parte dello statista in questi mesi, fino alla rielezione del presidente della Repubblica destinato a fare da pacificatore, e può altrettanto egregiamente aver mandato al governo in buon numero proprio gli esponenti del Pdl meno legati a lui, quelli che ora si usa chiamare colombe, decidendo di fidarsi dopo l’infelice esperienza montiana.
Ma finisce che non può neanche andare in piazza tra una condanna a Milano e l’altra perché arrivano a Brescia pronti a menare facinorosi dei centri sociali con i compagni del Sel, e parte una polemica infinita sulla presenza in loco, anche se nessuno lo ha visto, di Angelino Alfano, invece di quella più sensata sull’assenza in loco di adeguato numero di forze dell’ordine, essendo il suddetto Alfano il ministro dell’Interno.
Finisce che al Cav, che è una macchina di voti, lo tengono a casa per fine campagna amministrative con l’eccezione di Roma, dove per Alemanno serve il miracolo nonostante l’avversario sia il superfluo Marino. Intanto stop su sostituzione con blitz del porcellum, come vorrebbero i pd, stop su riproposizione della legge che ferma le intercettazioni, come vorrebbero i pdl. Stop e tana libera tutti, per qualche ora.
Giorni uguali
Da Varsavia Enrico Letta manda a dire che è inutile aspettarsi niente di che dal venerdì, robetta su Imu e dintorni di emergenza economica, pazienza se tra case non vendute e non affittate, calo in Iva e Irpef, ce lo dovrebbe dire la logica che quella legge genera solo recessione.
Ma non è la notizia principale sulla quale ci organizziamo ogni giorno noi cronisti, come in quel film dove al risveglio tutto ricominciava uguale al giorno prima. Ci organizziamo sul Cav, l’associazione dei magistrati, l’ineleggibilità, la legge bavaglio, anche perché questo Pd bisognerà pure tenerlo in vita in qualche modo, infatti Letta afferma di non occuparsene, ma prima di andare a Varsavia c’è tutta una porta girevole con Matteo Renzi e Guglielmo Epifani.
Il grillismo è già diventato ininfluente, conta solo per le maggioranze variabili dei corsari pd, e peggio per gli italiani che ci sono cascati come dei grulli. Dalle parti del Pdl è tutto più facile, senza il conducator si era ripiegato su se stesso ed esangue quasi consegnato in nomenklatura a un inesistente Mario Monti scambiato per cosa seria; il rischio resta lo stesso, ma contano per fortuna gli elettori ricomparsi in forze e poco di plastica.
Tutti al circo
Alla fine della giornata uguale a quella precedente, con Letta che sembra parlare da Marte invece che dalla Polonia, ci attrezzeremmo volentieri a dire che qua bisogna votare e pure presto, sperando che vinca uno sul serio e che stavolta faccia quelle due tre cose che chi governa dovrebbe prendersi la responsabilità di decidere di fare anche a costo di dissenso.
Invece no, c’è l’argomento supremo fra gli argomenti del circo barnum Italia: votare non si può, se cade il governo Napolitano di dimette e tocca a Prodi. Ma come, Prodi quello impallinato dal suo Pd? Quello in procinto di stracciare la tessera? Eh si, perché non è affatto chiaro cosa farà il capo dello Stato di fronte al precipitare degli eventi, e del governo. Pare proprio che non farebbe quel che un presidente della Repubblica a norma di Costituzione più bella del mondo dovrebbe fare, ovvero sciogliere le Camere.
No, lui si arrabbia e si dimette, ci lascia tutti in balia del nostro tragico destino. Perciò condannati per ora a stare insieme, tutti al circo che domani è un altro giorno, lo stesso.