Si erano tanti amati, e questo non è un segreto. Nei primi mesi del governo gialloverde i due vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio avevano stabilito un rapporto speciale, un’intesa che andava al di là di una firma apposta su contratto o di una pacifica convivenza fra alleati. I due si “erano trovati”, vuoi per ragioni anagrafiche, vuoi per quelle apparentemente improbabili affinità elettive che talvolta scattano inaspettate. Tant’è che una mattina di fine luglio 2018 al centro di Roma, spunta un bel murale con l’immagine di Di Maio e Salvini che si baciano con dietro un cuore rosso, a suggellare un “amore politico” che all’epoca sembrava solido e indistruttibile, nonostante le diverse appartenenze e i diversi percorsi politici.
E nonostante il fatto che uno dei due – Di Maio – fosse il capo politico di un partito che all’epoca poteva vantare il consenso del 32% degli italiani, con un conseguente peso parlamentare pari al doppio di quello dell’alleato leghista. Poi arrivarono le europee e i due partiti uniti a Roma si trovarono a combattere divisi per Bruxelles in una campagna elettorale senza esclusione di colpi, con accuse e recriminazioni reciproche. Addirittura offese. Le urne decretarono una clamorosa inversione di tendenza: era la Lega adesso ad aver doppiato il Movimento. L’idillio si rompe, i rapporti anche personali fra i due si deteriorano. E arriva il fatidico agosto, quello del Papeete, quello della crisi. Il gelo. L’astio. La delusione.
I 5Stelle formano un nuovo esecutivo col Pd. “Indietro non si torna”, così risponde il Capitano, che dal primo giorno dell’insediamento del governo giallorosso grida al tradimento e invoca le urne, a chi in questi giorni ha paventato un possibile riavvicinamento agli ax alleati: “Di Maio e Grillo hanno scelto il Pd, Renzi e la Boschi; hanno sceltoi poteri forti, la finanza, il passato e quindi li lascio in questa compagnia senza alcun rimpianto”. Anche perché nel frattempo Salvini ha riportato la Lega nella sua collocazione storica – nel centrodestra con Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni – e addirittura ne è diventato il leader. Le minestre riscaldate, in amore come in politica, raramente funzionano. E su questo concorda anche l’altra parte in causa della ex “coppia”: “Ho letto questo articolo comico, secondo il quale l’avvicinamento tra me e Di Battista sarebbe riferito a una volontà di riportare il Movimento a destra. Sono tutte sciocchezze utilizzate ad arte per voler far sembrare al Movimento e al gruppo parlamentare che ci sia un’alleanza per far cadere il governo”.
Divide et impera, questa la tesi di Di Maio. Taluni “retroscenisti”, sempre molto attivi nel nostro panorama giornalistico, utilizzerebbero dunque l’argomento di un possibile ritorno di fiamma fra i due ex alleati per alimentare sospetti e ulteriori divisioni sia nell’alleanza giallorossa sia all’inerno dello stesso M5S che, a onor del vero, non sta attraversando la sua fase migliore. Ma da qui a creare scenari di fantapolitica ce ne corre. Anche perché se dovesse cadere questo governo non verrebbe riproposto un nuovo esecutivo 5Stelle – Lega. Se cade questo governo si va a elezioni.