La Meloni dice di essere “incompatibile con le nostalgie del Ventennio”. Ma né lei né i suoi colleghi al governo del Paese si dicono “antifascisti”.
Dario Morini
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Caro lettore, non sia così crudele con Meloni e soci. Pensi ai dolori di Ignazio La Russa, che ogni anno all’approssimarsi del 25 aprile è colto da spasmi e giramenti di testa, per non dire di altri vortici. Il medico quest’anno gli ha prescritto relax, e così lui per il 25 aprile è andato a fare una bella visita al campo di concentramento a Praga. E in effetti per rilassarsi non c’è di meglio che visitare le camere a gas. Però per fortuna il 25 aprile viene solo una volta l’anno. La cosa più sensata l’ha detta Gianfranco Fini, che ha esortato Meloni & company a dirsi antifascisti. E ditelo, no? Ma niente, non ce la fanno. Sono anti-tutto ma non anti-quella-cosa-lì. È più forte di loro. Ha presente il materasso ad acqua: se ti appoggi di qua, si gonfia di là; se ti appoggi di là, si gonfia di qua. Idem con l’antifascismo: ti appoggi di qua e subito di là La Russa dice che l’attentato di via Rasella fu una strage di musicisti. Ti appoggi di là e La Russa di qua scopre che nella Costituzione non c’è scritto che è antifascista. Non c’è scritto neppure che ammazzare la suocera è reato, quindi è tutto a posto. Poi, quando La Russa è occupato a lucidare il busto del Duce, si affaccia Lollobrigida, cognato di Giorgia, e dice che i neri vogliono sostituire noi bianchi. Razzista? Fascista? No, niente, il ministro dell’Agricoltura non sapeva che esiste la teoria della sostituzione etnica, quindi va tutto bene. E poi il giro ricomincia: ti appoggi di qua, ti appoggi di là, ma l’acqua del materasso non si ferma.
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