di Cinzia Meoni
Gli intrecci di Palazzo Koch sono pari solo a quelli di Mediobanca. La Banca d’Italia partecipa ancora al capitale di diverse società (addirittura è azionista di controllo di un gruppo immobiliare come Bonifiche Ferraresi di cui ha in mano il 62%), è a sua volta a sua partecipata dalle banche (dei 64 soci gran parte sono istituti di credito) e vigila su queste ultime. O almeno dovrebbe.
Da tempo i potenziali conflitti di interesse sono nell’occhio del ciclone. Tanto che l’articolo 19 della legge 262 del 2005 prevedeva appunto la nazionalizzazione delle quote di via Nazionale entro tre anni. Nulla è stato fatto, ma le polemiche non si sono spente. La questione non è così semplice, nonostante buona parte delle politica ritenga una simile strada preferibile. Per nazionalizzare Bankitalia, secondo le stime del’ex ministro Renato Brunetta, occorrerebbero almeno 25 miliardi. Non pochi in tempi di crisi. E qui sta il secondo punto della questione. Le banche azioniste hanno infatti in carico le quote di Bankitalia sui valori di libro degli Anni 30. All’epoca l’istituto di Via Nazionale era dotato di un capitale di 300 milioni di lire, oggi tradotto in 156mila euro. Un valore completamente anacronistico. Tanto più che a Bankitalia fanno capo attività per oltre 22,6 miliardi.
Una rivalutazione delle quote detenute regalerebbe poi ossigeno alle banche strette tra i criteri patrimoniali sempre più stringenti previsti da Basilea 3 e le richieste della comunità di garantire maggiori aperture al credito (che tuttavia va di pari passo ai livelli di patrimonio). Quanto poi ai maggiori beneficiari di una rivalutazione ci sarebbero Intesa Sanpaolo (al 42,18% del capitale), UniCredit (al 22,1%), Assicurazioni Generali (al 6,3%), Carige (al 4%) e Mps (al 2,5%). Da un lato quindi le banche vorrebbero la rimozione della normativa del 2005 e la rivalutazione delle quote, dall’altro la politica da tempo fa pressione per una nazionalizzazione delle stesse.
Il tema è però tornato sotto i riflettori grazie anche ad un’azione dell’Abi sul fronte istituzionale. Fabrizio Saccomanni, intervenendo recentemente sul tema, ha dichiarato di essere “disponibile ad affrontare in tempi brevi la questione dell’assetto proprietario dell’Istituto di concerto con la Bce e la stessa Bankitalia”. Il ministro ha poi precisato che la questione sarà affrontata nell’ottica di definire “un assetto moderno ed efficiente nel rapporto tra banca centrale e sistema bancario”. Si vedrà. Di certo non è un tema semplice da dipanare.