Prima perché troppo appiattito sulle posizioni della Lega, poi perché ha fatto il patto col Pd in Umbria. Che i malumori sulla linea impressa dal leader politico dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio, ci siano è fuori dubbio. Che arrivino da uno sparuto gruppo dell’ala destra o di quella sinistra del Movimento poco conta. Ma sostenere che il documento firmato martedì da 70 senatori sia un documento contro la leadership esercitata dall’attuale ministro degli Esteri è fuorviante.
REGOLE DEMOCRATICHE. Due giorni fa, a Palazzo Madama, una riunione dei Cinque Stelle, che doveva fare il punto sulle procedure per le candidature a capogruppo in sostituzione di Stefano Patuanelli, si è trasformata in un’occasione, per alcuni senatori, per manifestare i propri malumori nei confronti di Di Maio come guida politica del Movimento. Che ha ricordato tanto l’atmosfera creatasi all’indomani della sconfitta alle Europee con l’ex vicepremier finito nel mirino per i troppi incarichi. In quei giorni si parlò addirittura di dimissioni, poi tutto rientrò. Ma evidentemente i rancori di alcuni grillini non sono scomparsi.
E, complice anche la delusione di quanti sono rimasti fuori dalla compagine di governo del Conte II, hanno continuato a covare. Ma queste voci di dissenso nulla hanno da spartire col documento dei 70. Lo spiega, del resto, lo stesso Di Maio: “Far passare quelle come 70 firme contro la mia persona è stato un grande malinteso. Ho letto quel documento e si parla di cambio dello statuto del gruppo parlamentare, che è una cosa legittima, non di guida del Movimento. Aver messo contro di me senatori, che sono anche amici e con cui lavoriamo ogni giorno, come Emanuele Dessì, Susy Matrisciano e Primo Di Nicola l’ho trovato ingiusto”.
Poi c’è sempre una voce che si leva in dissenso “ed è giusto così, sono stato eletto come capo politico con l’80 per cento di preferenze, non con il 100 per cento”. Ergo: “Luigi Di Maio non è in discussione”, rincara Dessì. A smentire dissapori è lo stesso gruppo parlamentare al Senato: sul Blog delle Stelle si definisce “affiatato” e rinvia al mittente il tentativo di strumentalizzare “un normale processo democratico” solo “per portare un attacco al M5S e al suo leader”. Eppure per tutta la giornata di ieri si sono rincorse le voci di parlamentari pronti a a salire sul treno del Carroccio – ne ha parlato lo stesso Matteo Salvini – o su quello di Matteo Renzi o addirittura di Forza Italia. “I nostri parlamentari non sono in vendita, ho detto a tutti di registrare le conversazioni su eventuali avances.
Questi comportamenti sono deplorevoli e mi fanno un po’ pena”, commenta feroce Di Maio. Che paragona la Lega a “un Berlusconi qualsiasi che cercava di togliere i vari De Gregorio a un’altra forza politica”. Tra i grillini è circolata la proposta di un direttorio di 10 persone che sottragga la leadership a un unico capo. Il titolare della Farnesina è ben consapevole dei limiti dell’attuale assetto: “Sto lavorando al team del futuro: un gruppo di 12 persone a livello nazionale chiamato a occuparsi di vari temi. Contavo di realizzarlo entro settembre, poi c’è stata la crisi politica. E’ evidente che il Movimento, come lo conosciamo, solo col capo politico non può sostenere la sfida del governo. Il futuro è un’organizzazione che non sia una struttura ma che aiuti i cittadini a fare arrivare le proprie istanze, i propri problemi, al vertice delle istituzioni, una nuova organizzazione che ci consentirà di essere più efficaci per le persone”.