di Marialuisa Di Simone
Con un handicap ma un valore aggiunto, la capacità di “vedere e sentire oltre” che le persone cosiddette normali non possiedono. Si tratta della sindrome di Asperger, una forma di autismo meno grave rispetto alla malattia comunemente conosciuta (al cinema è stata rappresentata da Lisbet Salander della serie Millenium), in quanto colpisce la capacità di relazionarsi con gli altri e non l’aspetto cognitivo. A questa sindrome è dedicato l’Asff – As Film Fest, il primo festival del cortometraggio ideato e curato da ragazzi autistici. L’appuntamento è per domani, al Maxxi– Museo Nazionale delle arti del Ventunesimo secolo di Roma. Giurato illustre della rassegna, che prevede tre sezioni competitive, ventuno cortometraggi selezionati e tre giurie, è il regista torinese Mimmo Calopresti, noto al pubblico per un cinema-verità mai buonista e per i documentari (tra gli altri La fabbrica dei tedeschi, sull’incidente alla Thyssen Krupp) che ben fotografano la realtà del paese. “L’Asff è un festival diverso – spiega – perché i suoi protagonisti sono persone con autismo. E tuttavia è uguale agli altri festival, perché possiede un gusto e un’anima. Se il cinema resta un grande sogno è perché permette a tutti noi di raccontare le nostre vite”. Nel programma ci sono i cortometraggi italiani e internazionali sul tema dell’autismo, ma anche i corti a tecnica mista (animazione digitale e assemblaggio fotografico) realizzati da ragazzi autistici, oltre al film biografico sull’esempio “Aspie” più noto al mondo, la psicologa, zoologa e progettista di attrezzature per il bestiame Temple Grandin.
Calopresti, ha mai visto i ragazzi al lavoro?
“Purtroppo no, ho visto solo il prodotto finito e mi è sembrato buono. Il Festival è l’ultima tappa di un percorso cominciato cinque anni fa con il cineclub Detour di Giuseppe Cacace, che è anche il coordinatore dell’Asff. All’inizio è stata scelta la sala cinematografica come luogo protetto, dove i ragazzi potevano incontrarsi e socializzare. Poi, con il successo dell’attività, gli stessi hanno voluto riprendere quello che facevano: è nato un documentario dal titolo Lo sguardo degli Aspie, che ha girato alcuni festival. La creazione di una rassegna dedicata è stato un passo naturale”.
Ha notato grandi differenze rispetto agli attori e ai filmaker “normali”?
“A interessarmi non è stata la diversità, ma le persone e le emozioni che mi arrivavano. Nel cinema sociale si rischia di concentrarsi sul problema e invece bisogna parlare di quel che si ha davanti agli occhi: la realtà e la finzione, quello che si vede e quello che si vorrebbe vedere”.
Che cosa l’ha colpita di questi ragazzi?
“Il fatto che se l’approccio con la quotidianità è normale tutto funziona. Sono persone incapaci di mentire, che non capiscono le convenzioni sociali. Il problema non viene da loro ma dai nostri pregiudizi: se guardiamo oltre, ci accorgiamo che questi ragazzi possono insegnarci qualcosa”.
Nel 2007 l’ultimo suo film, poi un libro e tanti documentari. Tonerà al cinema?
“Al momento sto producendo un’opera prima, una commedia sociale di Stefano Di Polito dal titolo Mirafiori Lunapark. Il film affronta con leggerezza la realtà drammatica delle fabbriche che si svuotano. L’azione si concentra su tre pensionati – Antonio Catania, Giorgio Colangeli e Alessandro Haber – che vivono nel ricordo dei tempi in cui ‘lavorare era bello’. Raccontiamo un mondo quasi dimenticato, l’ultima generazione di chi aveva un lavoro regolare. I loro figli sono precari, spesso rassegnati, e la capacità di reagire arriva ancora una volta dagli anziani”.