di Vittorio Pezzuto
Chi legge con attenzione questo quotidiano sa bene che non abbiamo mai lesinato critiche puntute e agomentate agli eccessi polemici di Beppe Grillo così come alla sostanziale irrilevanza politica che fin qui ha connotato la presenza in Parlamento dei tanti eletti del Movimento 5 Stelle. E questo non perché siamo affetti da pregiudizio ideologico nei loro confronti ma per la ragione esattamente opposta: troppo importanti sono le aspettative che hanno saputo suscitare nell’opinione pubblica, così accollandosi la responsabilità gravosa di rappresentare – tanto nelle parole quanto nei fatti – un’alternativa credibile al regime partitocratico che da decenni corrompe le istituzioni. Purtroppo le loro (a volte) buone intenzioni si sono finora infrante alla prova dei fatti. I pentastellati avevano promesso di essere l’apriscatole del Palazzo e invece di cambiare le istituzioni rischiano al contrario di esserne cambiati. Capita, quando il personale politico reclutato non ha alcuna esperienza e pecca di spontaneismo misto ad arroganza; quando ogni critica viene vissuta come un’offesa o un esercizio di malafede che giustifica la chiusura a testuggine nei confronti di tutti i giornalisti; quando il ricorso a un linguaggio violento e tecnicamente fascista da parte del leader solletica i peggiori istinti degli internauti e semina intolleranza nei confronti dei dissenzienti; quando infine la diretta streaming (da usare però come un’arma solo quando vengono incontrati gli altri partiti) e l’uso pervasivo della Rete vengono trasformati in un randello pronto a colpire “l’altro” di turno affinché gli adepti possano mantenersi impermeabili al confronto con il “diverso”, chiunque esso sia.
Una buona idea da copiare
Ma proprio perché siamo ben coscienti dei limiti e dei difetti strutturali di questo Movimento, non ci stancheremo mai di sottolineare la coerenza dimostrata da Grillo e dai suoi militanti su una questione dirimente: l’utilizzo dei soldi pubblici.
Lo scorso 23 maggio l’ex comico ha consegnato nelle mani del sindaco di Mirandola, uno dei Comuni più colpiti dal terremoto che ha devastato l’Emilia, la differenza tra le donazioni raccolte in campagna elettorale e quanto è stato effettivamente speso dal suo Movimento: 425.701,56 euro che vanno così ad aggiungersi ai 42.782.512,50 euro di rimborsi elettorali ai quali i pentastellati hanno già pubblicamente rinunciato. Si tratta di un precedente rivoluzionario. E sbagliano i partiti che trattano questa scelta come un elemento scontato, sul quale poter sorvolare con un pizzico di fastidio. I grillini hanno restituito i soldi, loro invece li hanno incassati. La differenza sta tutta qui, ed è enorme. E a colmarla non saranno certo i sepolcri imbiancati di Pd, Pdl, Lega e Sel che in televisione li accusano polemicamente di mancata trasparenza sugli scontrini senza aver prima guardato bene in casa propria.
Solo le prossime settimane ci diranno se i partiti, vent’anni dopo aver tradito in Parlamento l’esito plebiscitario del referendum radicale, rinunceranno finalmente alla mangiatoia del finanziamento pubblico per trasformarsi anch’essi in organizzazioni militanti liberate dalla zavorra dell’apparato e sorrette solo da contribuzioni private e trasparenti.
Se dal tweet di Enrico Letta si sarà passati in breve tempo alla votazione di un testo di legge, Grillo potrà festeggiare il suo primo significativo successo. Eviti quel giorno di accusare le altre forze politiche di avergli copiato l’idea. Lo sta già facendo in queste ore, e sbaglia di grosso: se in economia la moneta cattiva scaccia sempre quella buona, in politica occorre invece battersi perché le buone idee diventino patrimonio comune. Convincere gli altri è una vittoria che vale doppio.