Alla fine il primo tempo è passato, con la vittoria del centrodestra, che ha portato a casa due risultati: l’elezione di quattro membri del nuovo Cda Rai e la disgregazione dell’opposizione. Ma si tratta di una vittoria di Pirro, almeno per quanto riguarda i consiglieri.
Giovedì Camera e Senato, quasi in simultanea, hanno eletto come previsto Federica Frangi (in quota Fdi), Antonio Marano (Lega), Alessandro Di Majo (M5s) e Roberto Natale (Avs). A questi si unisce Davide Di Pietro, eletto nel novembre scorso in rappresentanza dei dipendenti Rai. Il Mef, poi, ha indicato Giampaolo Rossi (destinato a essere Amministratore delegato) e Simona Agnes, che Forza Italia vuole come Presidente, sebbene sul suo nome, al momento, non ci siano i due terzi dei voti necessari in commissione di Vigilanza per la ratifica della nomina.
Una vittoria pericolosa per Meloni
Per questo la vera vittoria è quella della Lega, che con l’elezione di Marano si è assicurata – in caso di bocciatura di Agnes – la presidenza della Rai ad interim. Non una questione da poco per la maggioranza: avere come presidente di Viale Mazzini un consigliere del Carroccio – del partito cioè che ha proposto l’abbassamento dei tetti pubblicitari e l’abolizione del canone – non farà certo piacere alla famiglia Berlusconi, azionista di maggioranza di Fininvest e della “controllata” Forza Italia. Del resto, i malumori di Marina e Pier Silvio Berlusconi soprattutto nei confronti del Carroccio, non sono un segreto per nessuno. Una potenziale bomba per la tenuta dell’esecutivo di Giorgia Meloni, che la premier dovrà disinnescare a suon di poltrone “concesse” a Matteo Salvini.
In vigilanza Rai le opposizioni promettono unità
E così arriviamo al secondo tempo della partita, quello in Commissione di Vigilanza. Che è tutta un’altra storia. Se infatti l’apertura sulla riforma della governance arrivata dalla maggioranza, con tanto di convocazione degli Stati generali per discuterne e l’impegno ad avviare già la settimana prossima l’esame delle proposte di legge depositate in Parlamento, avevano convinto M5s e Avs a votare (e a far eleggere un consigliere a testa), mentre il Pd aveva scelto l’Aventino (fedele al dettame: “niente nomine senza riforma”), in sede di Vigilanza le opposizioni appaiono, almeno finora, coese e decise a non cedere di un centimetro.
Né i pentastellati né Bonelli e Fratoianni si sono detti disponibili a fare da sponda alla Agnes aql vertice del Cda. Si tornerà allo schema iniziale: disertare – questa volta con il centrosinistra tutto unito – il voto sulla presidente. E, visto che la maggioranza non avrà i voti, si entrerà in stallo (con Marano a dirigere viale Mazzini).
Il centrodestra mira a dilatare i tempi
La maggioranza, dal canto suo, non ha fretta. Sa che un’altra frattura nel Campo largo sarebbe abbastanza improbabile adesso. Quindi prenderà tempo, dilatando i prossimi passaggi. Il primo è la convocazione dell’assemblea dei soci (che dovrebbe essere messa in calendario martedì o mercoledì prossimi), poi sarà convocato il cda stesso per l’indicazione di Ad e presidente. Quindi la palla passa all’ufficio di presidenza della Vigilanza per fissare la data della riunione della commissione per il voto.
“Il percorso – spiega un meloniano – potrebbe non concludersi prima di due, tre settimane. Magari anche di più”. Nel frattempo, la maggioranza cercherà di rompere il fronte opposto con l’offerta di qualche presidenza di Tg o testata. Lo scopo del centrodestra è far passare almeno le elezioni in Liguria (previste a fine ottobre), prima delle quali è quasi impossibile che il centrosinistra si frantumi (anche se non è mai detto…).
Ma la Vigilanza è un terreno scivoloso, come insegna il passato
Ma anche questo è un gioco pericoloso, perché, come insegna l’esperienza, la Vigilanza è quel posto dove si creano maggioranze inedite, che spesso hanno anticipato i nuovi governi. Per esempio, il Conte 2 ebbe i suoi prodromi proprio in vigilanza Rai. E, anche allora, il nodo riguardava l’allora presidente Marcello Foa, o meglio, la doppia poltrona di presidente Rai e RaiCom. A quest’ultima, Foa fu costretto a rinunciare sotto il fuoco incrociato di M5S e Pd.