Antonio Misiani, senatore e responsabile economia del Pd, la battaglia per il salario minimo è da considerarsi persa?
“Assolutamente no. Tre quarti degli italiani sono a favore, compresa una larga maggioranza degli elettori della destra. Continueremo a batterci per loro, in Parlamento ma soprattutto nel Paese. Se la maggioranza e il governo confermeranno il loro no pregiudiziale e ideologico, andremo a raccogliere le firme per una legge di iniziativa popolare e torneremo in Parlamento”.
I partiti di opposizione su questa battaglia sono tutti uniti, tranne Italia viva.
“Per quanto riguarda Italia Viva, la domanda va rivolta a loro. Noi crediamo che sia molto importante che attorno alla proposta di legge sul salario minimo si sia costituito un ampio fronte di forze politiche che assieme a noi stanno dando battaglia in Parlamento. Si tratta di una proposta che affronta un’emergenza sociale. Oggi in Italia più di tre milioni di lavoratori e lavoratrici sono retribuiti meno di 9 euro lordi l’ora. In molti casi siamo davanti a fenomeni di vero e proprio sfruttamento. Rimanere con le mani in mano come vuol fare il governo è la scelta più sbagliata oggi”.
FdI insiste col dire che la proposta è priva di copertura finanziaria.
“È una fake news. Non c’è alcuna necessità di copertura finanziaria, è una proposta che non ha alcun impatto sui conti pubblici. È uno dei tanti modi con cui governo e maggioranza stanno cercando di buttare la palla in tribuna”.
Secondo il ministro Tajani il salario minimo è roba da Unione sovietica.
“Tajani evidentemente considera Repubbliche dell’Urss anche i 22 Paesi dell’Ue che hanno adottato il salario minimo. È un’argomentazione surreale, che rende evidente quanto la maggioranza sia in difficoltà su questo tema. La verità è che l’Italia è tra i pochissimi paesi europei a non avere una legge sul salario minimo. È tempo di recuperare questo ritardo. Costruendo una soluzione che valorizzi la centralità della contrattazione collettiva nazionale delle organizzazioni maggiormente rappresentative ma indicando comunque una soglia di garanzia al di sotto della quale non si può andare”.
Taglio del cuneo fiscale: è stata questa la risposta del governo all’enorme emergenza salariale che c’è in Italia?
“Il taglio del cuneo fiscale è una scelta positiva peraltro già adottata in passato dai governi di centrosinistra. Questo del governo Meloni è provvisorio e noi chiediamo che diventi strutturale. Detto questo, non è pensabile affidare alla sola fiscalità generale l’obiettivo del recupero del potere d’acquisto che i salari hanno perso in questi anni. La via maestra rimane la contrattazione collettiva, a partire dal rinnovo dei contratti scaduti, una questione che riguarda oltre metà dei lavoratori dipendenti. Il salario minimo è necessario per fronteggiare l’allargamento delle disuguaglianze tra i lavoratori e il fenomeno del lavoro povero, che in Italia ha raggiunto dimensioni superiori rispetto al resto d’Europa. Va messa in campo, infine, anche una politica di raffreddamento di alcuni meccanismi di indicizzazione, penso per esempio all’adeguamento Istat degli affitti”.
Perché secondo lei le destre sono così contrarie al salario minimo?
“I populisti di destra si auto proclamano difensori del popolo ma quando i nodi vengono al pettine scelgono sempre di stare dalla parte di una minoranza di privilegiati anziché battersi per chi sta peggio. Lo abbiamo visto in ogni passaggio di questi mesi. Questo è il governo che ha tagliato del 25% le risorse contro la povertà, abolendo il Reddito di cittadinanza per poi fare un grande sconto fiscale a poche decine di migliaia di partite Iva con ricavi da 65 mila a 85mila euro. Privilegiano gli evasori a discapito di chi le tasse le paga fino all’ultimo euro. E quando si tratta di decidere se introdurre o meno un salario minimo bloccano tutto per paura di scontentare una parte dei datori di lavoro”.
Tra agosto e dicembre saranno spendibili i 382,50 euro della social card.
“È una presa in giro: poco più di due euro al giorno per pochi mesi a fronte di un taglio drastico e permanente degli stanziamenti contro la povertà. Il governo ha costantemente criminalizzato i poveri e sta rispondendo al disagio sociale con una misura poco più che propagandistica”.
Il ministro Matteo Salvini auspica una grande e definitiva pace fiscale. Che messaggio si dà ai contribuenti?
“Un messaggio sbagliato e fortemente diseducativo. I condoni per la destra sono come le ciliegie: uno tira l’altro. Questo governo ne ha già fatti 12. La proposta di Salvini, peraltro accolta con freddezza dai suoi partner di maggioranza, è il calcio di avvio di una campagna elettorale per le europee che rischia di essere giocata sulla pelle dei contribuenti onesti”.
Dalla giustizia all’Autonomia differenziata: questo governo litiga su tutto. è d’accordo solo sulla guerra ai poveri.
“È un governo che ha un’idea corporativa e divisiva della società: guerra contro i poveri, indulgenza per gli evasori fiscali e un progetto di Autonomia differenziata che allargherebbe, se approvato, i divari economici e sociali tra le regioni del Paese. C’è un filo rosso che unisce tutte scelte: un’idea di Paese in cui i più forti non devono essere disturbati, mentre i più deboli vanno abbandonati al loro destino”.
Pnrr: dobbiamo preoccuparci?
“Sì molto. I ritardi sono conclamati. La terza rata doveva arrivare a febbraio ma non abbiamo visto un euro. Della quarta non è stata presentata nemmeno la domanda perché il governo non ha raggiunto i 27 obiettivi previsti per il primo semestre 2023. Tutti gli indicatori, a partire da quelli riportati dalle piattaforme indipendenti di monitoraggio del PNRR, ci dicono che l’Italia sta perdendo colpi nell’attuazione sia delle riforme che degli investimenti del Piano. Il governo in questi 9 mesi ha cambiato la governance, con scelte discutibili, ma non ha fatto quello che aveva promesso di fare, ovvero presentare la proposta formale di revisione del Piano. Il 31 agosto è la data ultima per farlo ma a oggi è buio fitto sulle intenzioni reali del governo. L’impressione è che non credano nel Piano e che lo vivano come un fastidio. Ma così facendo compiono un doppio errore: a danno dell’Italia, che ha bisogno come l’ossigeno di quelle riforme e di quegli investimenti, e a danno dell’Europa perché un eventuale fallimento del Piano italiano sarebbe una drammatica battuta d’arresto per la costruzione di una Ue più unita e solidale”.