La mancata riscossione per 15 anni del canone del palazzo occupato dal movimento di estrema destra CasaPound Italia, in via Napoleone III, a Roma, ha causato un danno all’erario di 4,6 milioni di euro. A contestarlo, a cinque dirigenti dell’Agenzia del Demanio, tra cui il direttore della sede di Roma Antonio Ottavio Ficchì, e a quattro dirigenti del Miur, è stata la Procura regionale del Lazio della Corte dei Conti.
Il viceprocuratore generale Massimiliano Minerva, autore del provvedimento, ha stabilito la cifra del risarcimento in base “al canone aggiornato alla media OMI (Osservatorio Mercato Immobiliare) per la destinazione d’uso residenziale nella zona Esquilino”, dove si trova lo stabile. L’immobile, un edificio di sei piani di proprietà dello Stato che nel settembre del 1958 il Ministero delle Finanze-Direzione Generale del Demanio concesse in uso governativo al Ministero della Pubblica Istruzione, cominciò ad essere occupato a partire dal 2003, a seguito di uno sgombero e di trasloco dei vecchi uffici, da esponenti del movimento di estrema destra.
Nei confronti di CasaPound, tuttavia, la magistratura contabile non può intervenire trattandosi di un’associazione di diritto privato. A febbraio la sindaca di Roma, Virginia Raggi, aveva provato ad avviare l’iter per lo sgombero dell’edificio, dopo l’ok dell’assemblea capitolina, ma a fermarla era stata una lettera in cui il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, riferiva che non c’era alcuna urgenza visto che l’immobile non è a rischio crollo e non presenta nemmeno particolari problemi sotto il profilo igienico.