Una data ufficiale c’è ed è il 4 gennaio, giorno in cui il presidente della Camera, Roberto Fico, invierà la lettera di convocazione in seduta comune a tutti i grandi elettori che dovranno eleggere il prossimo presidente della Repubblica. Solo allora si conoscerà la data esatta in cui inizieranno le votazioni a scrutinio segreto. Ma dal momento che le Camere devono riunirsi da un minimo di 15 giorni ad un massimo di 30 dall’invio della lettera, si ipotizza che le danze inizieranno intorno al 18-20 gennaio per avere il tempo di maturare una candidatura che vada a segno entro la scadenza del settennato di Sergio Mattarella, il 3 febbraio. Le procedure per l’elezione sono fissate dalla Costituzione, ma potrebbero rivelare aspetti inediti nel caso in cui fosse il premier, Mario Draghi, a diventare il quattordicesimo capo dello Stato (includendo il bis di Giorgio Napolitano).
Ma andiamo per ordine. L’assemblea, formata da deputati, senatori e delegati regionali (tre per ogni Regioni, uno per la Val d’Aosta) al completo sarà di 1.008 componenti che nelle prime tre votazioni dovranno raggiungere una maggioranza di due terzi (672) per eleggere il presidente; dal quarto scrutinio basterà la maggioranza assoluta (505). Ogni votazione avviene per appello nominale in ordine alfabetico, a cominciare dai senatori a vita, e può ripetersi più di una volta (le cosiddette “chiame”) in caso di assenze. A operazioni concluse inizia lo spoglio con lettura pubblica di tutte le schede, ed è lì che via via viene allo scoperto la consistenza dei franchi tiratori, cioè di coloro che votano in difformità con le indicazioni dei gruppi: un fenomeno che da sempre accompagna le elezioni presidenziali e che ha spesso riservato sorprese. Una volta eletto, il capo dello Stato presta giuramento ed entra nel pieno delle sue funzioni. Ma un piccolo groviglio istituzionale potrebbe verificarsi se l’incarico spettasse a Draghi, perché se è vero che in passato quattro presidenti erano stati premier in precedenza (Antonio Segni, Giovanni Leone, Francesco Cossiga, Carlo Azeglio Ciampi), nessuno si è mai direttamente trasferito da Palazzo Chigi al Quirinale.
Il nodo sta nell’articolo 84 della Costituzione, secondo cui la carica di presidente della Repubblica “è incompatibile con qualsiasi altra carica”. Draghi, quindi, dovrebbe dimettersi subito da capo del governo per poi prestare giuramento e procedere infine alle consultazioni per indicare il suo successore. Ma la guida dell’esecutivo non può restare vacante: dovrebbe subentrare il vice-premier che però Draghi non ha mai nominato. L’incarico pro tempore, allora, spetterebbe al ministro più anziano che, nel governo attuale, è Renato Brunetta (71 anni), titolare della Pubblica amministrazione.