La cooperazione in saldo: una legge di bilancio che tradisce il futuro

Cooperazione o cortina di fumo? La legge di bilancio italiana smarrisce il suo impegno globale, lasciando spazio a tagli e contraddizioni.

La cooperazione in saldo: una legge di bilancio che tradisce il futuro

C’è una parola che si erge a vessillo e a monito nei documenti ufficiali e nei discorsi istituzionali: cooperazione. Ma, come spesso accade in Italia, il suo significato evapora tra le righe di una legge di bilancio che di cooperativo ha ben poco, relegando un pilastro della politica internazionale a una comparsa senza battute.

L’analisi di Openpolis mette a nudo questa contraddizione. L’incremento del 6,7% nelle risorse destinate alla cooperazione internazionale, sbandierato come una conquista, appare in realtà una cortina di fumo. Nel quadro dell’inflazione e della crescita prevista del reddito nazionale lordo (RNL), si tratta di un aumento che non incide e non si avvicina neanche lontanamente all’obiettivo dello 0,70% del rapporto APS/RNL promesso entro il 2030. Per metterla in termini più crudi: siamo fermi a uno sconfortante 0,27%, meno della metà del traguardo, e con una prospettiva che non lascia spazio a ottimismo.

La cooperazione mutilata: tagli e disuguaglianze che parlano chiaro

La distribuzione delle risorse, poi, è un affresco di disuguaglianze che parla chiaro. Il ministero dell’Economia e delle Finanze assorbe una fetta importante dei fondi, con un’attenzione privilegiata al canale multilaterale, mentre il ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale vede una contrazione di 115 milioni di euro. È qui che emerge il paradosso: l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), il cuore operativo della politica bilaterale, viene privata di 32 milioni di euro, una mutilazione che riduce l’Italia a una comparsa sulla scena internazionale, più spettatrice che protagonista.

Questa mutilazione delle risorse è una ferita aperta che lascia il nostro Paese lontano dal panorama internazionale delle responsabilità condivise. I numeri sono impietosi: nel 2023 l’Italia si è fermata a uno sconsolante 0,27% del rapporto APS/RNL, un dato che segna un’inversione rispetto a qualunque ambizione di progresso e che condanna la cooperazione a un perenne stato di marginalità. Ogni taglio, ogni ritocco, è una rinuncia che pesa sulla credibilità internazionale e che espone il vuoto di una politica che preferisce ripiegare sul piccolo cabotaggio.

Ma non basta. Una quota rilevante delle risorse classificate come “cooperazione” viene dirottata per l’accoglienza delle persone migranti sul territorio nazionale. Una necessità, certo, ma anche una pratica che svuota di significato il concetto stesso di cooperazione allo sviluppo, trasformandolo in un paravento per spese interne. Il rischio è duplice: da un lato si tradisce il mandato di solidarietà globale, dall’altro si alimenta una narrazione fuorviante che dipinge l’Italia come leader in un campo dove, nei fatti, recita il ruolo di un comprimario.

La Campagna 070, con la sua richiesta di una roadmap vincolante, è l’unico barlume di resistenza in un panorama di disimpegno mascherato da efficienza. La roadmap richiesta non è solo un’operazione tecnica, ma una scelta etica che ricollocherebbe l’Italia nel suo ruolo naturale di mediatore e promotore di sviluppo. Eppure, questa richiesta si scontra con una sordità istituzionale che non riconosce l’urgenza di rilanciare investimenti sostenibili e capaci di creare legami duraturi con i Paesi partner.

Un Paese che si arrende: l’illusione di una solidarietà globale

Le parole di Openpolis sono un monito: “Per raggiungere gli obiettivi prefissati servirebbe più che raddoppiare gli stanziamenti nei prossimi cinque anni”. Un imperativo che cade nel vuoto di una politica che sembra aver scordato le sue ambizioni, preferendo accontentarsi di piccoli gesti simbolici che non disturbano il manovratore. È il sintomo di un Paese che ha smarrito la rotta e che si rifugia in un immobilismo travestito da cautela.

E allora viene da chiedersi: dov’è finito lo slancio di un Paese che, almeno sulla carta, si dice impegnato per uno sviluppo sostenibile globale? La risposta è tutta in quella legge di bilancio che più che un testo normativo sembra una dichiarazione di resa.