La sintesi perfetta, molto probabilmente, l’ha fatta il verdiniano Francesco Saverio Romano. “Questo Governo – ha detto scherzando l’ex ministro berlusconiano – ha gli anni contati…”. A fargli eco ci ha pensato Giorgia Meloni. “Dalla Consulta arrivano una buona e una cattiva notizia insieme”, ha spiegato la leader di Fratelli d’Italia: “La buona notizia è che non rischiamo la reintroduzione dell’art. 18, che era l’obiettivo principale della Cgil”, mentre la cattiva “è che la sentenza serve soprattutto a impedire che si possa tornare a elezioni immediatamente”. Eccolo il vero nodo della questione: il possibile, se non a questo punto probabile slittamento delle elezioni addirittura al 2018. Per il Governo Gentiloni, infatti, l’eventuale ok da parte dei giudici costituzionali al quesito che avrebbe sconfessato uno degli assi portanti del Jobs Act, punta di diamante dell’era Renzi, sarebbe stato un colpo troppo duro da assorbire. Anche perché, a meno di clamorosi colpi di scena, la reintroduzione dell’art. 18 sarebbe stata cosa certa. Non è un caso che, prima di quella sulla “fuga dei cervelli” all’estero, era stato lo stesso ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ad ipotizzare con un’uscita certamente poco felice il repentino ritorno alle elezioni per far slittare il referendum stesso di un anno. Ma ora lo scenario cambia completamente.
Tutto rimandato – Anche a sinistra il ragionamento fatto a caldo ha ricalcato quello di Romano e Meloni. “È chiaro che oggi (ieri, ndr) è arrivato un messaggio per stabilizzare la legislatura”, ha detto malinconico Alfredo D’Attorre, ex deputato del Pd oggi in Sinistra italiana. E anche tra le file renziane, nonostante la sbandierata voglia del segretario dem di andare presto al voto, c’è chi la pensa esattamente così. “Nel merito è una buona notizia”, ha spiegato per esempio un fedelissimo dell’ex premier all’agenzia Agi. Anche il numero due del Nazareno, Lorenzo Guerini, ha preso atto “con rispetto e grande soddisfazione del pronunciamento della Corte Costituzionale sui quesiti referendari”. Ciò, ha messo ancora a verbale, “consente di proseguire il percorso di riforma del lavoro”. È chiaro però che questo è “un ulteriore ostacolo alla via del voto”, dicono ancora i fedelissimi di Renzi.
Ordine sparso – Tutto si giocherà sulla nuova legge elettorale, sulla quale i partiti viaggiano in ordine sparso in attesa del pronunciamento della Corte costituzionale atteso per il prossimo 24 gennaio. Ecco perché “se Renzi non riuscisse ad andare al voto entro giugno allora si andrebbe ad elezioni nella primavera prossima”, fanno sapere ancora i suoi più stretti collaboratori. Un cronoprogramma che a quel punto garantirebbe a “Matteo” di condurre la nuova battaglia tutta interna al partito, partendo dalla segreteria: l’obiettivo sarà preparare il percorso del congresso e stravincere alle primarie. Sempre ieri il quotidiano il Foglio, vicino a Renzi, ha sottolineato come “ci sono buone ragioni per non votare subito”. E non sono solo i franceschiniani a pensarla così. A buon intenditor…
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