Non sono bastati mesi e mesi di discussione sull’Italicum. La Corte costituzionale ha voluto prendere altro tempo per pronunciarsi sulla legge elettorale, come se i nodi non fossero conosciuti. Certo, la sentenza non può arrivare a cuor leggero: si tratta di uno snodo fondamentale per la politica italiana. Ma per la stragrande maggioranza dei cittadini italiani, si tratta di un dibattito lunare. Mentre nel Paese si contano morti e disastri, con l’aggiornamento continuo delle vittime estratte dall’hotel Rigopiano, i dorati Palazzi del potere continuano a non capire il messaggio della gente comune. Che del resto chiede cose semplici: risposte ai problemi. E in Italia, purtroppo, abbondano, a cominciare dal Centro Italia, messo a dura prova da mesi terribili: giusto cinque mesi dopo il 24 agosto, giorno della scossa che ha raso al suolo Amatrice, sarebbe stato significativo un verdetto chiaro per far ripartire il motore istituzionale, favorendo un ritorno alle elezioni. Invece niente. Non bisogna poi meravigliarsi se il Paese reale si disaffezioni dalle Istituzioni, poco reattive di fronte alle esigenze e troppo spesso legate al mero rispetto del protocollo.
Rinvio breve – Sarà pur vero che la Consulta ha deciso per un mini slittamento. Niente di grave rispetto al primo rinvio del verdetto previsto inizialmente il 4 ottobre. In quel caso non erano mancate perplessità, soprattutto per aver rimandato la questione addirittura al nuovo anno, in una data lontana dal 4 dicembre. In questo caso l’attesa, sebbene sia di poche ore e pur nel sacrosanto rispetto delle prerogative del meccanismo democratico, alimenta il fastidio. Il motivo? Su un tema sviscerato in ogni angolo serve un tempo supplementare. Gli italiani si sentono spettatori danneggiati da queste lentezze. E vengono ingrossate le fila della cosiddetta antipolitica fino a giungere alla naturale evoluzione del sentimento di rabbia popolare: la richiesta di un “uomo forte”, in stile Donald Trump o Vladimir Putin, certificata dalla ricerca realizzata dall’istituto Demos. È logico pure che i giovani siano affascinati più di tutti dal leader che “non deve chiedere mai”, forzando i tempi e i riti. La farraginosità di certi processi finiscono per essere di difficile comprensione, specie quando vanno per le lunghe e intaccano la pazienza.
Interessi in ballo – Eppure basterebbe fare un giro nelle piazze, nei bar, sui mezzi pubblici: tutti quei posti in cui si può trovare il Paese reale. A quanti davvero interessa il confronto sulla legge elettorale? A pochi, giustamente. E non perché l’argomento sia irrilevante ma semplicemente per il fatto che il rimpallo non termina mai. La recente storia è la perfetta testimonianza di un meccanismo inceppato. È stato approvato l’Italicum, ma ora già non va bene. Nello stesso Partito democratico che l’ha voluto e votato, in molti ne chiedono la revisione prima di averlo provato. Con tanto di proposte per tornare a modelli accantonati in passato, dal propozionale al Mattarellum. La conferma che le idee chiare restano un privilegio raro, facendo irritare pure chi si era appassionati al dibattito. Una pessima prova della classe dirigente, che – come se non bastasse – prima di muoversi ha preferito attendere la Consulta. Non sia mai che in Italia la politica si muova prima dei giudici.
Lunga attesa – Il quadro, insomma, continua a essere desolante. L’Italia è stata ferma per mesi in attesa del referendum del 4 dicembre, indicato come il Giorno del Giudizio. In quel caso gli elettori hanno emesso la loro sentenza, intimando lo sfratto da Palazzo Chigi a Matteo Renzi, l’ideatore della nuova Carta. Un segnale per cambiare pagina? Macchè. L’esito del voto non ha portato a un’accelerazione: l’Italia è entrata in una nuova fase di attesa, questa volta con la finestra sul 24 gennaio, diventata spartiacque della legislatura e non solo. Nel frattempo su Roma si è abbattuto il diluvio di richieste dall’Europa. E in questo stallo non si ha memoria di provvedimenti significativi licenziati dal Consiglio dei ministri (con l’eccezione della misura straordinaria varata in tempi record per salvare il Monte dei Paschi di Siena) né tantomento approvati dal Parlamento. Come se l’Italia fosse la Germania: un treno che viaggia spedito senza nemmeno la necessità di metterci mano. Allora è davvero difficile non comprendere la disperazione del Paese reale di fronte ai signori dei Palazzi arroccati nel loro fortino di potere.
Stefano Iannaccone