Guai in vista per Cosimo Maria Ferri. La Corte costituzionale, infatti, ha accolto il conflitto di attribuzioni sollevato dal Consiglio Superiore della Magistratura nell’ambito del procedimento disciplinare a carico dell’ex parlamentare di Italia viva in relazione al caso Palamara.
È stata annullata la deliberazione con cui, il 12 gennaio scorso, la Camera dei deputati ha negato alla sezione disciplinare di Palazzo dei Marescialli l’autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni che hanno coinvolto Ferri, magistrato fuori ruolo, il quale per diversi anni ha svolto mandato parlamentare.
Intercettazioni Ferri, annullata la delibera della Camera
La deliberazione della Camera è stata annullata, perché ritenuta in contrasto con l’articolo 68, terzo comma, della Costituzione. Articolo che regola le immunità parlamentari. Il braccio di ferro si è consumato, appunto, sulla richiesta di autorizzazione della sezione disciplinare del Csm all’utilizzo di intercettazioni acquisite nell’ambito dell’indagine dei pm di Perugia sul cosiddetto ‘caso procure’ nei confronti dell’ex magistrato Luca Palamara.
Quindi non direttamente rivolte a Ferri. Nel caso specifico le intercettazioni fanno riferimento al 9 maggio del 2019, quando all’hotel Champagne di Roma, alcuni consiglieri del Csm (poi tutti condannati dalla Sezione disciplinare alla sospensione dalle funzioni e dallo stipendio da un minimo di 9 mesi a un massimo di un anno e mezzo) discutevano della corsa alla procura di Roma insieme all’ex pm Luca Palamara e a due deputati renziani: lo stesso Ferri e Luca Lotti.
Cosa c’entra Ferri
Nello specifico Ferri era stato intercettato dal Trojan che era stato installato sul cellulare di Luca Palamara. L’indagine, infatti, riguardava l’ipotesi di corruzione proprio per Palamara che ha successivamente patteggiato una pena per traffico di influenze per i suoi rapporti con l’imprenditore Fabrizio Centofanti.
Non era quindi Ferri il bersaglio delle intercettazioni. Così l’aula di Montecitorio era intervenuta per salvare il deputato di Italia viva nell’unico modo possibile: negando l’autorizzazione all’uso di quelle registrazioni, proprio appellandosi al fatto che non era Ferri oggetto delle indagini.
Infatti il Parlamentare d’Italia viva, magistrato in aspettativa si era rivolto all’aula di Montecitorio che gli aveva dato ragione, sostenendo che le intercettazioni della procura di Perugia non potevano essere utilizzate dal Csm visto che all’epoca dei fatti era un parlamentare. Un’interpretazione, quella dell’ex deputato, accolta da Montecitori, non condivisa tuttavia dal Csm che si era dunque rivolto alla Consulta, sollevando un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato.
Il verdetto
Ebbene ora la Consulta ha stabilito che Montecitorio non poteva negare l’uso delle intercettazioni dell’ex magistrato. Così la Corte costituzionale ha considerato ammissibile il ricorso di Palazzo dei Marescialli contro la decisione della Camera, che era stata approvata a larga maggioranza con 227 voti a favore e 86 contrari.
Inoltre la Consulta ha ritenuto che la Camera negando l’autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni abbia “esercitato sì attribuzioni ad essa in astratto spettanti, ma, in concreto, travalicandone i limiti”. La Corte ha stabilito pertanto che “la richiesta di autorizzazione avanzata dalla sezione disciplinare richiede una nuova valutazione, da parte della stessa Camera dei deputati, della sussistenza dei presupposti ai quali l’utilizzazione delle intercettazioni effettuate in un diverso procedimento è condizionata”. Ciò significa che sulla testa di Cosimo Maria Ferri pende una spada di Damocle che potrebbe cadere da un momento all’altro.