La verità? “Se la Corte costituzionale volesse veramente mettere i bastoni fra le ruote a Matteo Renzi dovrebbe dichiarare incostituzionali i capilista bloccati”, spiegava ieri, in attesa della sentenza, un deputato della minoranza del Pd nella sala fumatori di Montecitorio. “Solo così – aggiungeva – capiremmo se i giudici vogliono lasciare in vita il Governo Gentiloni o no. E per quanto, soprattutto”. Arrivata la decisione della Consulta, però, la versione dello stesso esponente dem cambiava radicalmente: “Andremo a votare presto, molto presto”. Nel decretare la parziale incostituzionalità dell’Italicum, infatti, il presidente Paolo Grossi e i suoi colleghi non hanno eliminato i capilista bloccati. Anzi. Ecco perché questa “è una sentenza molto ‘renziana’”, spiegavano in modo unanime esponenti di maggioranza e opposizione. Così già da ieri l’ex presidente del Consiglio, che ha seguito l’evolversi della situazione nella sede del Pd a Largo del Nazareno insieme ad alcuni suoi fedelissimi, ha iniziato a serrare i ranghi. Non solo perché lo scheletro della legge elettorale da lui fortemente voluta è di fatto rimasto in piedi, togliendo di mezzo pure il ballottaggio che gli avrebbe provocato più danni che altro (in particolar modo in un confronto diretto con il Movimento 5 Stelle); ma soprattutto perché in questo modo il segretario dem potrà controllare a suo piacimento le correnti che agitano il partito, “liberandosi” della minoranza o giungendo a un compromesso con i vari Bersani, Speranza e co. In che modo? Magari concedendo loro un numero di capilista “sicuri” in cambio della garanzia di andare a votare quando vuole lui. Cioè all’inizio di giugno. L’ex sindaco di Firenze sta preparando l’avviso di sfratto da recapitare presto a chi lo ha sostituito a Palazzo Chigi, anche se l’uscita di scena di Paolo Gentiloni dovrà essere “soft”, con dimissioni concordate ma “spontanee”.
Avviso di sfratto – “Matteo” non vuole perdere tempo e lo si è capito ieri, quando – proprio poche ore prima del pronunciamento della Consulta – ha messo online il suo nuovo blog con un post dal titolo emblematico: “Il futuro, prima o poi, torna”. Intervento nel quale Renzi è tornato a sferzare l’Europa, chiedendosi se questa serve solo “a inviare letterine ridicole per chiedere assurde correzioni sul deficit, come quelle che ci hanno inviato senza risultati per tre anni”. Di fatto, il primo mattone in vista dell’inizio ufficiale alla campagna elettorale. Prima però, per silenziare in principio chi potrebbe accusarlo di dispotismo, Renzi farà un’ultima mossa: porterà in Parlamento il Mattarellum, votato a dicembre dall’assemblea del Partito democratico, per “vedere davvero chi ci sta”, dice un renziano di stretta osservanza. Un passaggio più formale che sostanziale, visto pure che la legge può essere subito applicata. Il Pd, come al solito, è spaccato fra chi – come i renziani appunto – spinge per votare e chi, come l’ex segretario Pierluigi Bersani, chiede che sia il Parlamento a esprimersi. “Adesso le Camere riprendano il loro ruolo, riscrivendo senza strappi una legge che tenga insieme governabilità e rappresentanza”, gli fa eco il deputato Francesco La Forgia.
Palla all’arbitro – Quello che adesso tutti si domandano è cosa farà il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ultimo vero “ostacolo” per l’ex presidente del Consiglio sulla strada delle elezioni anticipate. Prima di tirare le somme, il capo dello Stato aspetterà le motivazioni della sentenza attese fra circa un mese. La posizione del Colle è chiara: per tornare a votare le leggi devono essere “omogenee”. Concetto ribadito da Mattarella anche nel discorso di fine anno. E dal quale non è intenzionato a fare marcia indietro.
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