La Consulta boccia il Mic e il governo: incostituzionale la norma sui sovrintendenti dei teatri

Per la Corte è incostituzionale la norma "ad personam" voluta dal ministro Sangiuliano per silurare Lissner e fare largo a Fuortes

La Consulta boccia il Mic e il governo: incostituzionale la norma sui sovrintendenti dei teatri

Un gigantesco schiaffone. Anzi due. Sono il destro sinistro assestati oggi dalla Corte costituzionale in primis al Ministero della Cultura e quindi al Governo di Giorgia Meloni. Il doppio malrovescio è contenuto nella sentenza N.146 con la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma (contenuta nel decreto legge su ‘Disposizioni urgenti in materia di amministrazione di enti pubblici, di termini legislativi e di iniziative di solidarietà sociale’, convertito, con modificazioni, nella legge 87/2023) che prevede la cessazione anticipata dalla carica, a decorrere dal primo giugno 2023, per i sovrintendenti delle fondazioni lirico-sinfoniche che, alla data di entrata in vigore del dl, abbiano compiuto il 73° anno di età, indipendentemente dalla data di scadenza degli eventuali contratti in corso.

Una norma “ad personam” voluta dal ministro Sangiuliano

Una norma “ad personam” – voluta dal ministro Gennaro Sangiuliano –  per silurare il sovrintendente del Teatro San Carlo di Napoli, Stèphane Lissner (nel frattempo reintegrato dal Tribunale di Napoli), e far posto all’allora Ad della Rai, Carlo Fuortes.

Oggi la Consulta ha dichiarato quel decreto illegittimo “per evidente mancanza dei presupposti straordinaria necessità e urgenza”. A porre la questione era stato il Tribunale di Napoli, decidendo sul ricorso presentato proprio da Lissner, avendo ritenuto tale disciplina lesiva dei principi di eguaglianza e ragionevolezza e di buon andamento e di imparzialità e avendone denunciato l’evidente carenza dei presupposti prescritti dalla Costituzione per il ricorso al decreto-legge.

La Corte boccia il Mic ma boccia soprattutto il governo

Nella pronuncia, dicevamo, non solo si censura il Mic, ma si critica il ricorso – e il governo Meloni in questo è maestro – a decreti legge per materie che di necessario e urgente non hanno un bel nulla. La Corte ha infatti sottolineato come il ricorso allo strumento della decretazione d’urgenza, pur affidato all’autonoma scelta politica del Governo, è assoggettato a precisi “limiti costituzionali” e a “regole giuridiche indisponibili da parte della maggioranza, a garanzia della opzione costituzionale per la democrazia parlamentare e della tutela delle minoranze politiche”.

Tale potere normativo “non può giustificare lo svuotamento del ruolo politico e legislativo del Parlamento, che resta la sede della rappresentanza della Nazione” e deve essere esercitato “nel rispetto degli equilibri costituzionalmente necessari”. Un po’ il concetto ribadito ieri/due giorni fa dal rapporto Ue sullo stato delle Diritto, nel capitolo dedicato all’ipertrofia della decretazione d’urgenza che caratterizza l’esecutivo di centrodestra.

Un decreto che non regge

La disposizione invece, secondo i giudici, non presenta alcuna correlazione con le finalità di salvaguardare l’efficienza delle fondazioni lirico-sinfoniche, peraltro enunciate nel preambolo del decreto-legge “in termini generici e apodittici”.

La disomogeneità della disposizione censurata – poi – emerge anche dall’analisi del titolo dell’atto normativo e delle restanti disposizioni del decreto-legge e dalla discussione parlamentare, che non indica “elementi risolutivi in ordine alla straordinaria necessità e urgenza di regolare i rapporti in corso, secondo la tempistica tracciata nel decreto-legge, per dare concreta attuazione all’obiettivo di efficienza dichiarato nella premessa del decreto”.

Neppure nel giudizio dinanzi alla Corte – si rileva – sono stati prospettati elementi decisivi in ordine alla conformità ai requisiti prescritti dall’art. 77 Cost. Tutti gli indici descritti convergono dunque nell’escludere, per la specifica disposizione censurata, quella “esigenza di dare risposte normative rapide a situazioni bisognose di essere regolate in modo adatto a fronteggiare le sopravvenute e urgenti necessità […], che rappresenta la necessaria legittimazione del decreto-legge nel sistema costituzionale delle fonti”. E non sono pochi quelli che hanno voluto vedere nelle parole della Corte un’indicazione generale rivolta al governo.

La debole difesa del Ministero della Cultura

Dal canto suo, il Mic (cioè Sangiuliano) non ha potuto fare altro che tentare un debole difesa d’ufficio. Fonti del ministero precisano che: “La Consulta ha accolto le questioni di legittimità costituzionale esclusivamente con riferimento all’art. 77 della Costituzione e, quindi, al ricorso allo strumento della decretazione d’urgenza in luogo della legge ordinaria.

Peraltro, il governo, ai sensi dell’art. 77 citato, adotta i decreti-legge “sotto la sua responsabilità”, in forza di un’autonoma scelta politica, con la conseguenza che non è possibile determinare a priori i casi straordinari di necessità e di urgenza che legittimano il ricorso a tale strumento”.

“La stessa locuzione adoperata dall’art. 77 della Costituzione presenta un largo margine di elasticità”, aggiunge il Mic, “idoneo a ricomprendere una pluralità di situazioni che non possono essere imbrigliate entro schemi rigidi. In sostanza, la Consulta, con la sentenza n. 146, ha evidenziato solo la mancanza dei presupposti di necessità e urgenza di provvedere tramite decreto-legge, senza entrare nel merito della decisione di fissare un’età massima per i sovrintendenti delle fondazioni lirico-sinfoniche, che è evidentemente lasciata alle scelte discrezionali del governo”.