Il caso è esploso con la diffusione del messaggio audio di Rocco Casalino. Le resistenze che il Governo ha trovato dal primo giorno all’interno dello Stato si erano concentrate nella trincea del Mef, il ministero dove gli alti papaveri dell’Economia manovrano motu proprio i cordoni della borsa. All’apparenza comuni burocrati, questi signori sono dotati però di poteri sovrannaturali in una pubblica amministrazione, e nessuno si meraviglia più se i custodi del nostro Tesoro (o per meglio dire del nostro debito) da sempre contano quanto e più dei ministri che si accomodano alla scrivania di Quintino Sella. D’altra parte, nella scorsa legislatura riuscirono a dare una lezione persino al Parlamento, rifiutando di rivelare le ragioni di una perdita miliardaria su alcuni strumenti finanziari (derivati) disposti dall’allora dirigente Maria Cannata. Motivi di riservatezza, fu l’alibi utilizzato, stabilendo così un’inedita supremazia di un pezzetto dell’amministrazione pubblica pure sul sancta sanctorum del potere legislativo. Privilegi di un’alta dirigenza che da tempo ha smesso di puntare sui carri politici di turno per accomodarsi su treni più sicuri, che possono portare lontano, fino ai vertici di Banca d’Italia, Bce, Bruxelles e Palazzo Chigi, e senza il fastidio di una sosta periodica per quella incombenza della democrazia che è il consenso degli elettori.
Il carro che verrà – Di tutto questo i Cinque Stelle e la Lega erano avvertiti prima di firmare il contratto e poi la nascita del Governo Conte, ma lo sbarramento che abbiamo visto in questi ultimi giorni per l’aggiornamento al Def è senza precedenti. La sensazione è che i poteri forti non credano alla capacità dell’Esecutivo di andare avanti a lungo, e sia partita una gara a giocare d’anticipo per accreditarsi con il mondo che verrà. Di qui l’indolenza di ampi pezzi dello Stato, che formalmente non stanno commettendo nulla di illecito o censurabile, ma attenendosi al millesimo a regole fatte su misura per non far funzionare niente stanno mettendo in grande difficoltà chi ci governa.
Boicottaggio – Un esempio lampante in questo senso è arrivato dalla vicenda del ponte Morandi di Genova. La volontà politica rispetto al decreto, alle modalità della ricostruzione e alla provvista delle risorse economiche è stata spiegata chiaramente da Conte e dal titolare dei trasporti, Toninelli. Poi però il premier e il suo ministro hanno fatto una figura pessima, non certo per colpa loro, visto che tocca ai dirigenti scrivere e fare approvare dalla Ragioneria il provvedimento che serve a rimettere in moto non solo la Liguria.
L’Italia si fermi – Che il ministero dei Trasporti e delle infrastrutture sia più ingestibile di altri, al pari dell’Economia, lo si è visto anche da altre decisioni. Una su tutte è l’avvio di nuovi bandi di gara per decine di milioni di euro da parte della società che sta costruendo l’Alta velocità sulla tratta Torino-Lione, nonostante l’impegno di Toninelli a fermare tutto fino alla valutazione dei costi-benefici dell’opera.Il ministro dispone, insomma, e i burocrati se ne fregano. Ma l’alta dirigenza, per quanto intangibile, potrebbe osare tanto senza fiutare un vento favorevole tra ben altri poteri? Sicuramente no, e dunque se siamo a un passo dall’insubordinazione dai ministri è perché dall’Europa ai mercati, fino alla magistratura, diventa sempre più vorticosa la danza macabra partita attorno ai nuovi regnanti populisti.
Ue e giudici – Di ingerenze come quelle fatte a gamba tesa dal Commissario Ue al Bilancio Guenther Oettinger (il Governo italiano vuole distruggere l’Ue) o dal collega agli Affari economci Pierre Moscovici (l’Italia è un problema per l’Europa), non se ne ricordano dai tempi delle minacce dell’Eurogruppo a Tremonti e poi la successiva lettera spedita dalla Bce con cui fu deposto l’ultimo Governo Berlusconi. In casa nostra invece gli schiaffi arrivano dalla magistratura. La richiesta di indagare il ministro dell’Interno e vicepremier Matteo Salvini per sequestro di persona in merito alla vicenda della nave Diciotti è emblematica, tanto quanto il sequestro dei 49 milioni sui conti della Lega, nonostante il processo sul presunto abuso di questa somma sia tuttora in corso. Ieri però il Csm si è superato ed eleggendo un deputato del Pd, David Ermini, sotto l’evidente regia di un ex parlamentare dello stesso partito, Cosimo Ferri, non poteva che far insorgere prima il guardasigilli Alfonso Bonafede e poi lo stesso vicepremier Luigi Di Maio. Il candidato che garantiva più equidistanza dalla politica, il professore di diritto Alberto Maria Benedetti, sostenuto da grillini e Lega, oltre che dalla corrente dell’ex pm di Milano Piercamillo Davigo, è stato battuto di misura. In sfregio alla prima regola di qualunque democrazia, secondo cui i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario non si devono sovrapporre, la poltrona più rilevante nell’organo di autogoverno dei giudici è finita a un politico. E che politico, visto che si tratta di un parlamentare notoriamente vicino all’ex segretario del Pd Matteo Renzi, un personaggio che con la sua famiglia ha da tempo più di qualche problemino con la magistratura. I poteri forti, insomma, non solo non ci stanno a cedere spazio al Governo gialloverde, ma hanno capito di avere forza a sufficienza per logorare chi sta al timone del Paese in nome di un popolo italiano che ha sbagliato – dal loro punto di vista – a votare. Così, dopo la Manovra arriverà subito un altro intoppo e poi un altro ancora. Mettendo a dura prova l’asse di M5S e Lega. E pazienza se a soffrirne sarà l’Italia intera.