“Sono soddisfatta della centralità del ruolo che l’Italia sta tornando ad acquisire all’estero, banalmente perché quella centralità diventa anche un ritorno per le nostre famiglie e per le nostre imprese. La chiamiamo politica estera ma è anche politica interna”. Parole pronunciate una settimana fa al Tg5 dalla premier Giorgia Meloni, gonfiando il petto convinta di essere sulla strada giusta, ma che oggi sembrano essere state smentite dai suoi stessi alleati internazionali che si sono detti pronti a sostenere Mark Rutte (nella foto) come erede di Jens Stoltenberg alla guida della Nato.
Come successore Stoltenberg alla guida della Nato Biden avrebbe deciso di puntare sul primo ministro dell’Olanda Mark Rutte
Come riporta Politico, citando fonti interne alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden avrebbe deciso di puntare con decisione sul primo ministro dell’Olanda, già dimissionario in attesa della nomina del nuovo governo, e avrebbe già ricevuto il via libera da due terzi dei Paesi che compongono il Patto Atlantico e che ora sembra avere la strada spianata verso l’elezione per la quale, regolamento alla mano, serve l’unanimità.
Una candidatura che piace anche al Regno Unito guidato da Rishi Sunak che ieri è uscito allo scoperto con un funzionario che ha affermato come il suo governo “sostiene con forza il premier dimissionario olandese Rutte a succedere a Stoltenberg come Segretario Generale della Nato. Rutte è molto rispettato in tutta l’Alleanza, ha serie credenziali in materia di difesa e sicurezza e garantirà che l’Alleanza rimanga forte e pronta alla difesa e alla deterrenza”. Insomma nulla di fatto per Meloni che per mesi, convinta di poter capitalizzare l’impegno del suo governo sui dossier delicati della Nato e l’amicizia con Biden e Sunak, aveva sperato di poter mettere al vertice della Nato un italiano.
Il Governo italiano puntava su Draghi o Cavo Dragone
Inizialmente il nome su cui aveva puntato era quello dell’ex premier ed ex capo della Banca centrale europea, Mario Draghi, ma quest’ultimo, capita la mala parata, aveva gentilmente risposto con un ‘no grazie’. Così era iniziato a circolare il nome del Capo di Stato Maggiore della Difesa, Giuseppe Cavo Dragone, come possibile erede di Stoltenberg ma che, secondo le ultime indiscrezioni, dovrà accontentarsi della nomina a prossimo presidente del Comitato militare dell’alleanza Atlantica. Una débâcle che ha dell’incredibile perché ora che gli alleati hanno puntato su Rutte, la Meloni avrebbe sostanzialmente chinato il capo al punto che, secondo quanto trapela, si sarebbe accodata supportando la candidatura del primo ministro uscente.
Certo è vero che la premier e il il primo ministro uscente dell’Olanda hanno da sempre un rapporto di amicizia, ma è altrettanto evidente che davanti a ben altre aspettative questa non può che essere considerata come una sconfitta politica. Tanto più se si pensa che Rutte non è mai stato tenero con l’Italia perché, come noto, è sempre stato considerato come l’alfiere dei cosiddetti Paesi frugali, ossia gli Stati del Nord Europa che predicano – e pretendono – l’austerità e sono sempre stati poco inclini a garantire risorse e fiducia ai Paesi mediterranei definiti da lui stesso “spendaccioni”. Che si tratti di una figura ben poco amata in Italia lo dimostra il fatto che tutta la stampa italiana esultava e perfino il Giornale, commentando le dimissioni del primo ministro olandese, si lasciava andare a un articolo intitolato “Rutte lascia la politica: esce di scena il falco anti-italiano”.
L’olandese fanatico dell’austerity si è sempre opposto ad ogni sconto sui vincoli economici al nostro Paese
Difficile pensarla diversamente perché il leader olandese è quello che minacciò una procedura d’infrazione contro l’Italia al tempo del governo gialloverde di Giuseppe Conte per via dei conti statali malandati. Lo stesso che al tempo del Covid-19 fece di tutto per negare aiuti e sostegno dei Paesi più colpiti dalla pandemia, tra cui l’Italia. Un falco mai pentito che a gennaio dal Forum di Davos aveva bacchettato proprio l’Italia guidata dalla Meloni affermando: “Dobbiamo fare riforme strutturali, in particolare delle pensioni, se si guarda all’Italia, alla Francia e altri spendono dal 10 al 15% del Pil nelle pensioni” aggiungendo poi che come Europa “dobbiamo ridurre l’indebitamento pubblico, che è ancora troppo alto in Italia, in Francia ed altri Paesi, alcuni grandi, e appesantisce la crescita”.