Piace ai cittadini, molto meno ai politici. È il paradosso della legge Severino, la quale disciplina l’impossibilità di candidarsi o di essere eletti al Parlamento come anche la decadenza di un parlamentare in caso di condanna definitiva, su cui domenica dovranno esprimersi gli italiani. Già perché questa norma di buon senso è il primo quesito referendario, proposto dall’inedito duo Radicali-Lega, per riformare la giustizia.
Poco importa se la legge in questione è stata scritta e votata dal parlamento, per giunta al culmine di una serie di indagini sul malcostume in politica, con il benestare anche del Carroccio e, sostanzialmente, con la sola avversità di Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Badate bene, l’ex magistrato non votò contro perché riteneva il provvedimento sbagliato ma, al contrario, perché lo riteneva fin troppo leggero. Insomma all’epoca dei fatti ci fu quasi un plebiscito.
La Casta contro la Severino
Ma da quel giorno le carte in tavola sono cambiate tanto che Matteo Salvini & Co hanno chiesto, con la Corte Costituzionale che ha dato il proprio benestare, di abrogare la legge che prende il nome dell’ex ministra della Giustizia del governo Monti, Paola Severino. Sulla scheda di colore rosso che domenica finirà nelle mani degli italiani che andranno ai seggi, si legge un quesito piuttosto semplice: “Volete voi che sia abrogato il Decreto Legislativo 31 dicembre 2012, n. 235?”.
Fermo restando che dati alla mano il quorum difficilmente verrà centrato – forse anche per uno scetticismo da parte dei proponenti che hanno fatto poco e niente per invogliare gli italiani ad andare a votare – è comunque opportuno cosa comporterebbe l’abrogazione della Severino.
In primo luogo va considerando il fatto che il decreto in questione colpisce chi ha ricevuto una condanna per reati di mafia e terrorismo a due o più anni di reclusione, come anche chi è stato condannato a due anni in via definitiva per delitti commessi contro la pubblica amministrazione – tra i quali la corruzione, la concussione e il peculato – e per ogni altro reato punito con una pena massima non inferiore a quattro anni.
Per tutti loro la norma prevede l’impossibilità sia di essere eletti che perfino di candidarsi. Insomma abrogandola appare chiaro che l’unico effetto concreto sarebbe un ritorno al passato, con conseguente “liberi tutti”. Come se non bastasse, però, gli effetti di una cancellazione della norma non finirebbero qui. Questo perché la Severino disciplina anche la decadenza per il parlamentare che, durante il suo mandato, vede diventare definitiva una condanna a suo carico.
Cancellare la Severino: le conseguenze
Insomma l’unico effetto della vittoria del Sì non sarebbe altro che riaprire il Parlamento e i ministeri a condannati definitivi. Difficile pensare che una norma di questo tipo possa essere cestinata dai cittadini che, come sappiamo, sono stufi del malcostume in politica. Una bocciatura che è arrivata anche da esperti come l’ex magistrato Piercamillo Davigo che ha spiegato come abrogare tale norma finirebbe per essere “un caso unico al mondo” perché “a nessuno verrebbe in mente di candidare un condannato per mafia o terrorismo”.
Ma a pensarla diversamente è gran parte dell’arco politico. Contro la Severino, infatti, non ci sono soltanto Lega e Radicali ma anche diversi amministratori locali e regionali di svariati partiti. Dal canto suo il Pd è contrario a una totale cancellazione del provvedimento ma ha già manifestato l’intenzione di modificarlo in Aula. Contrario il Movimento che definisce l’eventuale abrogazione come “un passo indietro”.