di Fausto Cirillo
Contrattacca e sfida apertamente la maggioranza. Annamaria Cancellieri, che questo pomeriggio esporrà al Parlamento la sua verità ufficiale sul caso Ligresti, non intende farsi logorare dalle incalzanti paginate di Repubblica e vuole riscuotere in Parlamento una fiducia senza se e senza ma. «È falso e bugiardo chi sostiene che io sia intervenuta sulla magistratura – ha esclamato il ministro della Giustizia, ieri a Strasburgo. «Non chiederei nulla che non fosse nel rispetto della legge. Non mi sono mai occupata di scarcerazione, è una falsità, non ho mai fatto nulla che non sia un mio preciso compito: non è mai successo che il Dap intervenisse per una scarcerazione. Chi dice questo è falso, bugiardo e ignorante». Il ministro della Giustizia minaccia le dimissioni («Se servirà al governo») perché ha capito come il suo caso sia divenuto l’ennesimo feticcio di una politica rissosa e inconcludente. I calcoli di giornata dei partiti rischiano infatti di essere ben più importanti degli interrogativi che l’incidente ha suscitato nell’opinione pubblica, lasciando ancora una volta sullo sfondo il dramma quotidiano vissuto da migliaia di detenuti. Tanto che aldilà delle dichiarazioni di facciata, nessuno ha intenzione di spendersi fino in fondo a favore di quei provvedimenti di clemenza (indulto o amnistia) che il capo dello Stato ha sollecitato per iscritto alle Camere come possibile, necessitata e urgente risposta alla condanna che le istituzioni europee hanno ripetutamente espresso nei confronti del nostro sistema carcerario. Ci accontenteremmo che i partiti facessero proprie le parole del presidente dell’Unione camere penali Valerio Spigarelli: «Il vero scandalo, lo scandalo più significativo – ha scandito – non è una presunta telefonata del ministro della Giustizia ma la custodia cautelare in carcere utilizzata come anticipazione della pena». Difficile che sul fronte della carne viva dei detenuti possa però cambiare qualcosa: nel tentativo di galleggiare a oltranza, i partiti scelgono ancora una volta di sacrificare le riforme all’altare della mutevole opinione pubblica. Si spiega così come il Pd cerchi di minimizzare l’incidente per non doversi dividere in piena fase congressuale e soprattutto per non arrecare danno al suo Enrico Letta. Dal canto suo il Pdl non ha alcuna intenzione di trasformare il Guardasigilli in un bersaglio polemico: sia perché la vicenda assomiglia troppo alla celebre telefonata di Berlusconi alla questura di Milano a favore di Ruby, sia perché per buttare all’aria tutto quanto basta e avanza la prossima discussione sulla legge di Stabilità e non si vede pertanto la necessità di accreditarsi ogni volta come i bastian contrari nella maggioranza.
Grillini a testa bassa
Curiosamente, la prudenza e l’indecisione sul da farsi sembrano condizionare anche diverse forze di opposizione: Fratelli d’Italia parla genericamente di «atteggiamento inopportuno» del ministro e Sel si limita a censurare «una giustizia a due velocità, che riserva trattamenti molto diversi ai potenti che dispongono delle conoscenze giuste e ai detenuti normali». Determinatissimi a chiedere le dimissioni del Guardasigilli restano soltanto i parlamentari grillini, che ieri hanno depositato alla Camera una mozione individuale di sfiducia in cui si può leggere che «un ministro della Giustizia che si sia lasciato condizionare nel suo operato dai suoi rapporti personali con la famiglia Ligresti, e dai rapporti economici poco chiari del figlio, agendo, oltretutto, con una marcata disparità di trattamento verso gli altri detenuti ‘non eccellenti’, ed utilizzando i magistrati che operano all’interno del ministero, è un’ombra indelebile sulla sua figura istituzionale da un punto di vista etico, morale e politico». All’interessata contestano inoltre di aver trascurato altre, analoghe segnalazioni. E sul loro blog portano all’attenzione un caso Cancellieri alla rovescia: quello dell’imprenditrice Valeria Grasso (imprenditrice ‘testimone’ che ha denunciato e fatto condannare una delle famiglie mafiose più potenti di Palermo) che non ha mai ricevuto risposta a una richiesta di solidarietà indirizzata nel 2012 al ministro. «Gli ‘atti di umanità’ come quello per la signora Ligresti non erano ancora di moda o forse Valeria non aveva un cognome abbastanza importante» osservano prima di chiedersi «Quante Valeria ci sono in Italia? Di quanti cittadini con le spalle al muro per aver fatto il loro dovere civile non sappiamo niente?». Bella domanda.