Di Emilio Fabio Torsello per l’Espresso
Sono stati seguiti intercettati, pedinati. E alla fine sono arrivate perquisizioni e manette. L’operazione “Tarantella”, scattata all’alba dell’8 luglio scorso contro tre clan della camorra in terra iberica, non è un’inchiesta come tante: è la prima operazione a essere stata promossa e condotta interamente dalla Spagna. Le indagini non sono partite dall’Italia: il nostro Paese si è visto recapitare le rogatorie internazionali. Anche Francia e Olanda hanno partecipato alle indagini.
Il dato non è da sottovalutare. E’ sintomo di un’inversione di tendenza e di un mutamento nella percezione della presenza mafiosa all’estero. Fuori dall’Italia, la cosiddetta “pax mafiosa” tra clan è il sottotesto a qualsiasi business economico. Se in Italia le armi si usano sempre meno perché attirano indagini e magistrati, all’estero – dove spesso non esiste una legislazione capace di colpire duramente il crimine organizzato come nel nostro Paese – la sordina è ancora maggiore.
E in Spagna le mafie italiane ci sono tutte. Anche a causa della crisi economica che ha reso le imprese più vulnerabili, dei porti, della scarsa percezione del fenomeno criminale e della possibilità di fare business nel settore turistico, vero e proprio punto di forza dell’economia iberica.
La mappa criminale. Camorra e ‘ndrangheta sono attive – tramite il riciclaggio di denaro – nei settori della ristorazione, nel tessile (appannaggio dell’Alleanza di Secondigliano), nel turismo e nell’edilizia. La ‘ndrangheta non si fa mancare le energie alternative e l’eolico, così come cosa nostra, presente nel settore energetico del Paese. In coda – per semplici motivi di budget che non permettono investimenti corposi – la sacra corona unita, che sfrutta la penisola iberica come base logistica.
Ma la vera padrona è la camorra. Secondo quanto emerge da una recente mappatura delle autorità spagnole, a Madrid coesistono i clan Gionta-Cavalieri di Torre Annunziata, l’Alleanza di Secondigliano e il clan Caiazzo (provenienti dal quartiere napoletano del Vomero-Arenella). A Marbella, Fuengirola, Saragozza e Ceuta i Mazzarella e gli Scissionisti. A Barcellona i Licciardi di Secondigliano, i Friziero e i Contini di Napoli, insieme agli Scissionisti di Di Lauro. A Malaga il clan Zazo, del quartiere Fuorigrotta.
Tre tonnellate di droga. Nell’operazione Tarantella la Guardia Civil e il Cuerpo Nacional de Policia – coordinati dal giudice Fernando Andreu – hanno arrestato 32 persone e sequestrato quasi tre tonnellate di cocaina proveniente dalla Colombia. Una montagna di droga pronta per essere immessa nel mercato europeo e italiano, tramite il porto di Napoli. Secondo quanto risulta dalle indagini, infatti, una volta arrivata in Spagna la droga partiva verso il nostro Paese dai porti di Tarragona e Algeciras. Tra le accuse mosse agli arrestati (diversi ora in libertà vigilata): traffico internazionale di droga, estorsione, riciclaggio di denaro e falsificazione di documenti.
I clan di cui facevano parte gli arrestati erano in Spagna da oltre dieci anni, proprietari, tra gli altri, del ristorante “Bella Napoli” di Majadahonda a Madrid. A gestirlo Ciro Rovai, secondo le indagini uno dei “collettori” più importanti nel narcotraffico internazionale. E proprio le attività imprenditoriali erano il punto di partenza per il riciclaggio massivo di milioni di euro, soprattutto nel mercato immobiliare.
Tra gli arrestati c’è anche Salvatore Romano (adesso in libertà vigilata), tra i proprietari di “Totò e Peppino”, uno dei ristoranti più famosi di Madrid. Un locale dell’esclusivo quartiere Alonso Martìnez e frequentato da alcuni giocatori del Real Madrid. Proprio la storia di Salvatore Romano permette di raccontare nel dettaglio il modus operandi della Camorra in Spagna, così spavaldo da rivolgersi alle forze di polizia per avere aiuto e supporto.
Il triangolo: Scampia, Madrid, Bogotà. Salvatore è fratello di Raffaele Romano, anch’egli proprietario del “Totò e Peppino” e a Madrid dal 2005. Quando l’11 settembre 2013 scatta in Francia una maxi-operazione in cui vengono arrestate diverse persone e sequestrati 1.300 chili di droga su un volo Air France da Caracas a Nanterre, Raffaele Romano si trova improvvisamente a dover supplire all’assenza di uno dei maggiori narcotrafficanti internazionali. Da quel momento, secondo quanto risulta a l’Espresso da fonti interne alle indagini, nell’autunno 2013 Raffaele viaggia tra Madrid e Bogotà. Torna a Scampia, riparte per la Colombia. Ma sbaglia qualcosa e scompare in Venezuela, probabilmente sequestrato e ucciso.
L’inchiesta della Camorra. A questo punto, secondo quanto risulta agli inquirenti iberici che da molto seguivano i proprietari del ristorante, il fratello Salvatore fa diverse telefonate per cercare di capire dove fosse scomparso Raffaele. A Napoli, secondo quanto trapela dalle indagini, in una telefonata del gennaio di quest’anno gli risponde Ettore Bosti, figlio di Patrizio Bosti, già reggente del clan Contini. E scatta un’indagine da parte dello stesso clan camorristico per capire che sorte sia toccata a Raffaele. Il capo del clan Contini s’informa e – spiegano gli inquirenti iberici – vola a Madrid. Nel frattempo Salvatore Romano chiede l’aiuto della polizia spagnola, per un tentativo di estorsione da parte di un’organizzazione venezuelana (con base logistica in provincia di Madrid) che aveva chiesto denaro in cambio della liberazione di Raffaele, in realtà già morto.
Salvatore Romano non sa che la magistratura lo tiene sotto controllo da tempo. E il piano scatta: una settimana prima dell’operazione “Tarantella” viene sgominata l’organizzazione criminale venezuelana con base in Spagna. Il 10 luglio finisce in manette Salvatore Romano.