Una storia iniziata nel 1997 e finita due anni fa. Con la dismissione dell’ultima convenzione con la Milano ’90 dell’immobiliarista Sergio Scarpellini. Decisa dall’Ufficio di presidenza di Montecitorio nel febbraio 2015. Quando anche dall’ultimo dei quattro stabili all’epoca ancora in uso al Parlamento – Palazzo Marini 3 di piazza San Silvestro – furono ritirati i vessilli della Camera dei deputati. Dopo il fallimento dell’ultima trattativa per tenere aperta almeno la mensa che occupava 45 dei 426 lavoratori in carico dipendenti della società di Scarpellini. L’imprenditore chiedeva 4 milioni 570 mila euro all’anno più Iva, la controproposta della Camera, sulla scorta di una valutazione richiesta al Demanio, si fermò 2 milioni 604 mila. Risultato: partita chiusa, arrivederci e grazie.
Chi sale e chi scende – Ma l’ultimo capitolo della lunga querelle si chiuderà, senza lieto fine, il prossimo 31 dicembre. “Quando per gli ex dipendenti della Milano ‘90, che non sono riusciti a trovare un altro lavoro, finiranno gli ammortizzatori sociali”, avverte il deputato di Mdp, Gianni Melilla, all’epoca segretario dell’Ufficio di presidenza della Camera in quota Sinistra Italiana. Il tutto mentre, ironia della sorte, dal 1° gennaio 2018 ricominceranno a correre gli stipendi degli alti dirigenti della Camera. Tornando a salire ai livelli pre 2014. Prima cioè della sforbiciata che aveva drasticamente ridotto gli emolumenti del personale. Proprio a fine anno, scadrà infatti la delibera dell’Ufficio di presidenza che aveva ‘calmierato’ le indennità. E che, in base ad una sentenza dell’organo di giurisdizione interno, emessa su ricorso del personale colpito dal provvedimento, non sarebbe ulteriormente prorogabile. Se non sarà adottata una nuova delibera, a questo punto molto improbabile, il conto rischia di essere salatissimo.
Contraddizioni parlamentari – Non a caso, nella relazione allegata al bilancio di previsione della Camera 2017 i Questori avevano lanciato l’allarme sugli “emolumenti del personale”. Che “nelle previsioni definitive per il 2016 si è attestato a 178,3 milioni di euro” e nel 2017, “si riduce a 170,6 milioni”, con “una diminuzione di 7,7 milioni”. Ma, avvertono i Questori, nel 2018, il capitolo di spesa tornerà a salire “a 178,4 milioni di euro (+7,8, ndr), con un incremento del 4,55 per cento rispetto al 2017”, per il “venir meno dell’effetto triennale” delle “misure di riduzione delle retribuzioni” adottate nel 2014. Un conto che comprende anche i circa 3,5 milioni delle indennità di funzione. Insomma, da una parte la Camera taglia, legittimamente, gli affitti d’oro (oltre 30 milioni per tutti i Palazzi Marini). Dall’altra, parte di quei risparmi – certamente i 4,5 milioni recuperati dal Palazzo Marini 3 – ottenuti anche con i dolorosi sacrifici del personale della Milano ‘90, rischiano di essere vanificati dal ripristino dei vecchi livelli di retribuzione dei dirigenti. “Fermo restando che il personale della Camera va selezionato per concorso, dal momento che l’organico si è ridotto da 1.900 a 1.300 unità, circa un terzo in meno, si potrebbero ricollocare gli ex dipendenti della Milano ‘90 rimasti disoccupati negli uffici di Montecitorio almeno in attesa dei prossimi concorsi – propone, sentito da La Notizia, Melilla che proprio ieri è intervenuto in Aula sul tema -. Sarebbe peraltro paradossale se, mentre scadono gli ammortizzatori sociali per questi lavoratori, non si riattivassero le misure per contenere la spesa per il personale della Camera e si tornasse a superare il tetto dei 240mila euro per i dirigenti apicali”.
Movimento alla carica – Intanto, sul salto del tetto e il ripristino delle indennità di funzione dei dirigenti della Camera, Riccardo Fraccaro, segretario in carita dell’Ufficio di presidenza in quota M5S promette battaglia. “Avevamo detto sin dall’inizio che il Pd stava bluffando sui costi della politica. Come volevasi dimostrare sono saltati sia il taglio agli stipendi che quello alle indennità dei superburocrati di Montecitorio. Abbiamo sollecitato più volte la maggioranza ad adottare delle norme per ridurre la spesa della Camera e recuperare risorse da destinare al tessuto sociale a cominciare, magari, dai tanti emolumenti intascati dagli stessi parlamentari – spiega a La Notizia -. Ormai è evidente che una classe politica imbevuta di privilegi non potrà mai introdurre misure di equità e di risparmio. Ci penserà il M5S quando sarà al Governo ad eliminare gli sprechi e ad allineare le istituzioni al Paese reale”.