di Vittorio Pezzuto
Intervenendo ieri alla cerimonia del Ventaglio, la presidente della Camera Laura Boldrini ha sventolato orgogliosa le sue convinzioni militanti, le stesse del suo leader di partito Nichi Vendola. Sul caso Shalabayeva ha attaccato «la compiacenza delle autorità», deplorando il «grave discredito al nostro prestigio internazionale» in una vicenda «su cui non ho motivo di essere ottimista». Ha bacchettato «il tono eccessivo e sopra le righe» del competitor elettorale Beppe Grillo, che non va però confuso con i suoi deputati pentastellati («Ho apprezzato molto la loro attenzione nei confronti dei dipendenti della Camera» ha infatti precisato materna). Ha censurato «gli eccessi nella decretazione d’urgenza» che «producono uno stato di sofferenza, soprattutto per le opposizioni che si sentono in un certo modo messe all’angolo». Ma soprattutto ha sostenuto che «l’idea della politica gratis è una pessima idea, un modello da non inseguire anche se fa guadagnare immensi titoli sui giornali»: tesi cara a Sel, contraria da sempre all’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. «Ci si aspetta che faccia il classico presidente della Camera?» si è quindi domandata con un pizzico di civetteria, per poi rispondersi compiaciuta: «Ma io non lo sono. Io ho le mie idee ma quando le esprimo preferisco parlare di principi e valori. Alla politica fa bene confrontarsi su questo invece che su liti di corto respiro. Non capisco questo modo di fare politica con dichiarazioni sulle agenzie di stampa e botta e risposta continui». Sarà pure, ma questa signora improvvisamente innalzata alla terza carica dello Stato ci sembra non perdere occasione per dire la sua su tutto. Anche ieri ci ha offerto il suo birignao buonista, terzomondista, progressista e compassionevole: dal ricordo di Rocco Chinnici alla necessità di una legge sulla cittadinanza, dal cordoglio per le vittime del pullman precipitato nel viadotto all’immancabile rivendicazione femminista, dall’auspicio di una nuova legge elettorale alla solidarietà ai familiari di Domenico Quirico. E in una giornata che vive sospesa in attesa della sentenza definitiva sul processo Mediaset, ha ostentato un’indifferenza calcolata alle sue ripercussioni politiche: «Credo che singoli casi giudiziari non debbano interferire nella vita delle istituzioni». Derubricando così a vicenda marginale un atto che rischia di segnare la fine della legislatura e, conseguentemente, il tramonto della sua parabola istituzionale. Consegnandola al medesimo destino di Fausto Bertinotti e Gianfranco Fini.