Le Lettere

La battaglia di Natale

Vedo violenza, morte e distruzione dappertutto, in Europa, in Medio Oriente e in tanti paesi di cui non si parla mai. L’umanità ormai è morta. Altro che la gioia del Natale.
Arabella Gitti
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Gentile lettrice, a volte vengo preso anch’io da momenti di sconforto e giungo alle sue stesse conclusioni. Poi rifletto e mi aggrappo a pochi, esili esempi per darmi almeno un barlume di speranza. L’anno scorso di questi tempi – tra Natale e Capodanno – circolò un video ripreso dalla telecamera sul casco d’un soldato russo. La sua pattuglia perlustra un bosco col terreno innevato. D’improvviso si imbatte in una pattuglia di ucraini. I due gruppi sono a poca distanza l’uno dall’altro e si acquattano nella neve tra gli alberi. Si fronteggiano senza sparare. Grande silenzio. A un certo punto uno dei russi intona a squarciagola la prima strofa d’una famosa canzone russa, Katiusha, che parla di una ragazza in attesa del suo fidanzato al fronte. Un gesto sorprendente, quello del soldato. Forse il ragazzo voleva dire qualcosa come: non c’è solo la guerra, c’è anche la vita. Altrettanto inaspettata è la risposta degli ucraini, che dall’altra parte intonano in coro la seconda strofa della canzone: parlano la stessa lingua, provano gli stessi sentimenti, stanno cercando di dirsi la stessa cosa. Morale di questa favola vera: siamo tutti fratelli. Mi piacerebbe sapere come si concluse quella strana battaglia nel bosco. Spero che uno dei due gruppi si sia arreso all’altro o che siano entrambi andati via, ognuno per la sua strada, senza spargimenti di sangue. Abbracciamo gli ultimi umani rimasti sulla Terra.

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