Non c’è niente di più pericoloso che dare la possibilità a un matto di fare una pazzia. Gli Stati Uniti in modalità cowboy Trump affollano le acque della penisola coreana di minacciose navi da guerra e a Pyongyang non sembra vero. Adesso può gridare forte nonostante la sua vocina da piccolo Davide contro il gigantesco Golia americano, re dell’imperalismo, signore di tutte le storture del libero mercato, padrone di ogni male del mondo. Il grottesco dittatore nord coreano, ridicolo, pittoresco, così caricaturale da non poter ambire a una ragionevole sceneggiatura dei nostri tempi, diventa così il paladino di un pianeta che dice no allo strapotere di Washington. Nonostante gli States sulla vicenda coreana abbiano ragione da vendere. Kim Jong-un è un despota, affamatore della sua gente e soprattutto un provocatore senza pudore. Se non lo si ferma oggi, a costo di pagare qualche prezzo, bisognerà farlo domani, e allora il conto potrebbe essere molto più salato. Intanto però si mostrano i muscoli, da una parte e dall’altra. Le navi americane possono colpire la capitale del minuscolo Stato asiatico in ogni momento. Da parte sua la Corea del Nord afferma di sentirsi moralmente autorizzata a usare la bomba atomica per difendersi. E dire che di atomico Kim ha solo la sua boria, oltre alle figuracce nei lanci sperimentali di qualche missile di fabbricazione tarocca, che è un miracolo se non esplodono in mano a chi li lancia.
Lezione in vista – Nella guerra della propaganda tutto questo però non conta e ieri in una nota diffusa dalla Korean Central News Agency, l’agenzia di stampa nazionale del regime, un portavoce del ministero degli Esteri nordocoreano ha promesso che gli Usa saranno ritenuti responsabili delle “catastrofiche conseguenze” che potrebbero derivare dalla mossa che viene definita “oltraggiosa”. Affermazioni che hanno fatto il solletico a Trump, pronto a rispondere, come da sua abitudine, con un tweet molto esplicito, che è possibile tradurre sinteticamente con un “questi stanno cercano rogne. Se la Cina decide di aiutare sarebbe magnifico. Altrimenti, risolveremo il problema senza di loro”. Il cowboy, insomma, ha il colpo in canna. Di sicuro l’arrivo nell’area di crisi della portaerei Carl Vinson e della squadra di navi da guerra a suo supporto ha alzato il livello di tensione e prefigura uno scenario di guerra. Un epilogo inevitabile quando si portano avanti ripetuti test balistici, tirando missili anche in direzione del Giappone. A quei giochi di guerra, fatti con fionda e cerbottana, Obama rispondeva con lo stile suo. Un po’ di minacce a cui non credeva nessuno, un po’ di sanzioni, qualche bel discorso di condanna. E tutto finiva li. Naturale che Kim abbia continuato indisturbato, fino all’arrivo alla Casa Bianca di un Trump che non se le lascia dire. E che non perde occasione per far fare al matto una pazzia. Quello che aspettano i generali a stelle e strisce. Pronti a lanciare i loro missili. E questi sì che funzionano.