Mentre continua la scia di sangue nella Striscia di Gaza e in Libano, e mentre si attende l’annunciata risposta militare di Israele contro l’Iran per ripagarlo del lancio di 200 missili sullo Stato ebraico, a fare rumore sono le parole bellicose pronunciate dalla Guida Suprema di Teheran, Ali Khamenei, in occasione delle preghiere in memoria di Hasan Nasrallah, il leader di Hezbollah ucciso una settimana fa in un raid israeliano a Beirut.
Il leader iraniano, apparso con un fucile al fianco davanti a una folla oceanica, ha usato toni infuocati, ribadendo che “ogni nazione ha diritto all’autodifesa contro gli aggressori”, di fatto rivendicando la legittimità dell’attacco lanciato su Israele. Successivamente, rispondendo a distanza alle minacce del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ha dichiarato di voler “far pagare un duro prezzo all’Iran”, Khamenei ha avvertito il mondo che “l’azione intrapresa dalle nostre forze armate è stata solo una piccola risposta rispetto ai crimini commessi dal regime israeliano” e che “se necessario, in futuro, colpiremo di nuovo il regime israeliano con ancora più forza”.
Ha poi aggiunto che “la nazione palestinese ha il diritto di opporsi al nemico che ha occupato la sua terra e rovinato la sua vita” e che “difendere i palestinesi è legittimo e aiutarli è altrettanto legittimo”. Secondo Khamenei, “l’asse della Resistenza non si tirerà indietro: bisogna continuare fino all’eliminazione della vergognosa esistenza dei sionisti (…) oggi il nemico dell’Iran è il nemico della Palestina, del Libano, dell’Iraq, dell’Egitto, della Siria e dello Yemen” e, per questo, il mondo arabo farebbe bene “a fare fronte comune” contro Israele. Un intervento all’insegna delle minacce che si è concluso con parole che hanno il sapore di un ultimo avvertimento: “La pazienza strategica dell’Iran è finita”.
Khamenei avverte Israele: “La pazienza strategica dell’Iran è finita e se attaccati, reagiremo”. Ma Netanyahu lo ignora e martella Gaza, Cisgiordania e Libano
Quel che è certo è che le parole di Khamenei non sembrano intimorire il governo di Netanyahu, che si è limitato a dichiarare che la risposta all’Iran ci sarà e potrebbe avvenire “da un momento all’altro”. Del resto, lo stesso presidente americano Joe Biden ha rivelato che sono in corso consultazioni con Tel Aviv per decidere gli obiettivi dei raid, con gli USA che hanno sconsigliato di colpire gli impianti nucleari, suggerendo invece di limitarsi a basi militari e impianti petroliferi. La guerra, con il rischio di un’escalation, prosegue come se nulla fosse.
Ne sono consapevoli anche in Libano, dove, secondo quanto riferisce l’agenzia stampa Ani, l’aviazione israeliana ha scatenato la sua furia con “oltre dieci attacchi consecutivi” — il più vasto raid dall’inizio del conflitto — sulla capitale Beirut, causando almeno 37 morti e 151 feriti. Secondo il New York Times, che cita funzionari israeliani coperti dall’anonimato, gli attacchi avevano come obiettivo Safi Al-Din, potenziale successore di Nasrallah alla guida di Hezbollah. Al momento non è chiaro se il bersaglio sia stato colpito o se sia sopravvissuto.
Dopo le parole di Khamenei, il fronte si scalda
Tuttavia, questi attacchi rischiano di essere solo l’inizio, dato che il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha dichiarato che “Hezbollah sta subendo colpi molto duri, uno dopo l’altro. Abbiamo eliminato il loro leader e abbiamo in serbo altre sorprese”. Parallelamente, continua anche la campagna militare israeliana a Gaza, dove in un raid aereo su Deir al-Balah sono morti tre palestinesi, e in Cisgiordania, a Tulkarem, dove è stato preso di mira Abd al-Razeq Oufi, il capo della rete locale di Hamas, che sarebbe morto insieme ad altre 18 persone.
Tutte azioni a cui hanno risposto, in modo apparentemente coordinato, i miliziani di Hamas, che hanno preso di mira il sud di Israele, e i combattenti di Hezbollah, che hanno lanciato una trentina di missili in direzione del nord dello Stato ebraico, ingaggiando feroci scontri con le truppe di terra di Tel Aviv in territorio libanese.