di Luca La Mantia
Alla fine si è trattato di un pari, né più e né meno. Angela Merkel e Matteo Renzi lasciano il vertice del Consiglio Europeo a Ypres con reciproca soddisfazione. La cancelliera tedesca ha ottenuto quello che voleva. Jean Claude Juncker è stato designato presidente della Commissione Europea. Certo, c’è da attendere la ratifica definitiva da parte del parlamento europeo il prossimo 16 luglio ma, per come si sono messe le cose, si tratterà solo di un pro forma.
Il nuovo presidente
Il nome di Juncker è stato, infatti, votato da ventisei paesi su ventotto. La Gran Bretagna e l’Ungheria sono state le uniche a dissociarsi dalla linea dettata dalla cancelliera tedesca. Scongiurata, quindi, la palude in cui il Consiglio avrebbe potuto cacciarsi in caso di una fumata nera. Il nodo principale era rappresentato dalla bozza del programma politico ed economico che la Commissione Europea dovrà attuare nei prossimi cinque anni. Da una parte c’era il partito del rigore, guidato dalla Merkel, dall’altra quello della flessibilità, di cui si faceva portavoce Renzi, spalleggiato dal presidente francese, Francois Hollande. Del resto erano loro i veri protagonisti del summit europeo, essendo i due leader, all’interno dei due maggiori gruppi dell’europarlamento (Ppe per la Merkel, Pse per Renzi) ad aver avuto il maggior numero di voti alle ultime elezioni Europee.
Austerity più soft
Un peso che Renzi ha sempre sfruttato da quando il suo Pd (con il 40,8%) è diventato il partito più forte nella famiglia dei Socialisti europei.
E non a caso Renzi ha sempre lanciato un messaggio alla Merkel a proposito delle nomine Ue: nessun nome se prima non decidiamo dove portare l’Europa. Un muro contro muro che è durato sino alla notte tra giovedì e venerdì. Poi il lavoro degli sherpa sul testo di Van Rumpuy e n nuovo incontro tra i due leader europei politicamente più forti ha portato al disgelo. Una delle richieste fatte dall’Italia alla Germania sarebbe stata quella di valutare lo sdoganamento dai vincoli la quota nazionale di cofinanziamento dei fondi Ue, sui cui c’è stata un’apertura da parte del vicecancelliere e ministro dell’Economia tedesco, Sigmar Gabriel.
Solo un regalino
In generale, dunque, quello che ha portato il Consiglio ad uscire dall’impasse che si profilava giovedì sera è stata una maggiore apertura dell’Europa alla flessibilità. Un risultato che Renzi considera una vittoria personale. Ma in realtà, nonostante l’esito della trattativa abbia effettivamente portato un allentamento del rigore, quello della Merkel al premier italiano, per ora, è solo un regalino. A Renzi serviva un maggior margine di manovra, senza sforare però il rapporto del 3% tra deficit e Pil previsto dal Patto si Stabilità e in parte l’ha ottenuto. E tuttavia , nonostante l’Italia possa agevolarsi di uno sconto nei tempi di rientro, il tutto dovrà comunque svolgersi all’interno dei vincoli previsti dal patto, su cui la Merkel non è disposta a transigere.
Il premier subisce, insiste sulla crescita e brucia Letta
di Lapo Mazzei
Se volete far perdere la pazienza al premier Matteo Renzi fategli il nome di Enrico Letta, magari associato a qualche prestigioso incarico, e vedrete come reagirà. “Questa ipotesi di Letta l’ho letta sui giornali italiani e avanzata da politici italiani, fonti qualificate, ma non dalle cancellerie europee”, dice il presidente del Consiglio, non certo senza un certa ostilità, nonostante il gioco di parole per dissimulare. E siccome sul tavolo c’è da comporre complicato puzzle europeo Renzi spiega a chi gli chiede lumi che “bisognerebbe richiamare la cencelliana memoria italiana”.
Enrico bruciato
E siccome il premier è uno il Cencelli lo applica alla lettera, guai a chi prova a mettergli sul cammino bombe a tempo. Come hanno provato con Enrico Letta, che sarebbe stato indicato per il consiglio europeo da Inghilterra e Francia. “Se ci sono tre presidenze”, spiega ancora l’inquilino di Palazzo Chigi, “al vertice delle istituzioni europee è difficile pensare che due presidenze spettino all’Italia che ha già Draghi alla Bce. A meno che qualcuno non pensi di cambiare l’esistente”. Cosa che in questo campo Renzi non intende affatto fare, volendo, invece, modificare altri parametri. Insomma, a conti fatti, appare del tutto evidente che il nome di Enrico Letta sia stato buttato nel mezzo con l’evidente scopo di bruciarlo. Al punto che nei corridoi della politica romana si vocifera che sia stato lo stesso cerchio magico del premier a mettere in bocca ad un giornale amico la notizia. Perché l’indicazione di Letta non è partita dall’Europa, ma dalla Capitale. Per essere esatti dalle colonne del quotidiano romano Il Messaggero. Un grande incrocio di coincidenze un grande caso? Il diretto interessato, ovvero Enrico Letta, non parla e le dichiarazioni di Renzi, mai come questa volta vanno lette in filigrana. Nel frattempo il surf europeo del presidente del Consiglio fa registrare i soliti alti e bassi, determinati dall’ondivago atteggiamento della Merkel nei confronti di Renzi. Lei lo considera un “premier di grande successo”. Lui rivendica di essere stato tra i primi a non considerarla la strega cattiva, “la colpevole di tutto”. Tra Matteo e Angela, a vederla così, il feeling ci sarebbe pure. Secondo gli analisti, infatti, si va delineando una sorta di “strano asse” per l’Europa, che va da quella considerata da sempre la paladina del rigore e quel giovane premier italiano paladino della crescita.
Nuova sfida
In un’ottica di una nuova visione dell’Europa i protagonisti, tanto che Renzi lo ha stigmatizzato in conferenza stampa, devono essere quelli che vogliono la crescita, nel rispetto dei patti. “Chi vuole solo la stabilità e non la crescita viola il patto, così come fa chi vuole solo il contrario”, ha sottolineato il premier. Nel frattempo Parigi, protagonista di sempre nei rapporti privilegiati con Berlino, perde quota nelle geometrie variabili delle alleanze, Matteo e Angela sembrano invece destinati a essere la coppia del futuro. Non senza divergenze. Come quella che li ha visti avere una discussione molto “accesa” quando dalle parole sull’apertura alla flessibilità si è passati a parlare di “cosa e come”. Ma senza rotture e bracci di ferro si sono affrettati a far notare i rispettivi staff.
Lo stop di Angela
La sensazione, che ormai sembra aver assunto i contorni del dato di fatto, è che la Merkel sia disponibile ad ascoltare Renzi ma non a mollare sui principi e sulle regole scritte. In questo modo il premier può tranquillizzare gli italiani, rendendo più semplice la vita ai tedeschi. Meno pressione sulla Cancelleria, e quindi sulla Cancelliera, aiutano il governo di Berlino ha muoversi su più fronti. Come ha sempre fatto. “E’ finita l’era di Roma che “va a chiedere con il cappello in mano”, sottolinea il premier, “siamo un grande Paese fondatore, diamo all’Europa più di quanto riceviamo e non abbiamo timori reverenziali verso nessuno”. “E abbiamo preso più voti di tutti alle europee”, non tralascia di ricordare Renzi. Parole che trovano una eco al piano superiore, dove negli stessi minuti parla Angela alla sua stampa: “Renzi è un premier di grande successo, mi ha spiegato il suo piano di riforme in 1000 giorni”. Lo ha spiegato, chissà se lo sottoscriverà. Perché è la carta che il premier gioca in Europa per ottenere maggiore flessibilità e con la quale, forse, ha parzialmente convinto Frau Angela.