“Sul dieselgate basta inganni”, tuonava nel settembre 2017 il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker. Parole e nulla più, dato che le misure adottate dalla stessa Commissione si sono rivelate assolutamente inefficaci. A rivelarlo non sono né complottisti né anti-europeisti, bensì la Corte dei conti Ue in una dettagliata relazione pubblicata in questi giorni. In pratica, un organo dell’Unione europea mette con le spalle al muro l’organo esecutivo della stessa Unione.
Ma facciamo un passo indietro: come qualcuno ricorderà, lo scandalo dieselgate scoppia nel 2015, quando emergono le pesanti discrepanze tra i dati di laboratorio e le emissioni dei veicoli su strada a causa della manipolazione dei sistemi di emissioni dei veicoli da parte del gruppo Volkswagen. Non parliamo di un trucchetto di poco conto: uno studio realizzato nel 2017 da una squadra internazionale di ricercatori ha rivelato come ogni anno in Europa circa 10mila persone muoiono prematuramente a causa dell’ossido di azoto (NOx), un gas nocivo abbondantemente emesso dai motori diesel.
È anche per questa ragione che l’Unione decide di intervenire, accelerando “molte modifiche normative al sistema UE di controlli sulle emissioni dei veicoli”. Ad occuparsi della questione, manco a dirlo, la Commissione europea che decide di porre – in accordo col Parlamento europeo – un tetto massimo alle emissioni nocive, come riconosce la stessa Corte dei conti. Tra gli interventi focali concordati spicca la “prova concernente le emissioni in condizioni reali di guida (RDE) per misurare le emissioni di NOx”. In questo modo non ci potrà essere alcuna discrepanza tra dati di laboratorio e dati reali in guida.
C’è un passaggio, però, che chiarisce come – nonostante la bontà della norma – tutto sia stato reso in qualche modo vano. Scrivono i giudici: “L’introduzione della prova RDE ha portato ad una significativa riduzione delle emissioni di NOx da parte delle autovetture diesel, ma l’impatto avrebbe potuto essere ancora maggiore se fosse stato adottato il limite massimo di 128 mg/km di NOx inizialmente proposto invece di quello di 168 mg/km”. Perché è fondamentale questo passaggio? Semplice: come chiesto in Parlamento ad esempio dal Movimento 5 stelle (leggi l’intervista) la proposta iniziale era quella di fissare un tetto più stringente alle emissioni, in modo tale da ridurre realmente il pericolo inquinamento.
La Commissione, invece, ha deciso sua sponte senza confronto con il Parlamento di alzare il tetto, accontentando evidentemente gli interessi delle case automobilistiche, in primis quelle tedesche. Il risultato? È ancora la Corte dei conti a parlare: “Nonostante i recenti interventi normativi […] potrebbero essere necessari molti anni per migliorare la qualità dell’aria delle città, dato l’elevato numero di autovetture altamente inquinanti già circolanti”, senza dimenticare “i limitati dati disponibili” che “indicano che l’impatto sulle emissioni di NOx è stato modesto”. Come volevasi dimostrare.
Ma per chiudere il quadro occorre un altro, fondamentale, inquietante, tassello. A dicembre, infatti, una sentenza della Corte di giustizia Ue, dopo un ricorso presentato dalle città di Parigi, Bruxelles e Madrid, ha inchiodato ulteriormente alle sue responsabilità la Commissione. Il motivo? La decisione di fissare il limite massimo di NOx a 128 mg/km e non a 168, sarebbe illegittima, poiché è stata presa senza minimamente coinvolgere il Parlamento (che, verosimilmente, non avrebbe accettato tale posizione). Si legge in quella sentenza: “La Commissione non era competente ad apportare, applicando coefficienti di correzione, una modifica a tali limiti per le prove RDE”. E ancora: “Il Tribunale precisa che l’accertata incompetenza della Commissione implica necessariamente una violazione del regolamento”. Insomma, zero trasparenza, zero democrazia. E norme illecite.