di Vittorio Pezzuto
Ha un bel twittare Matteo Renzi che il suo Job Act è al momento solo «una bozza che sarà definita il 16 gennaio e poi diverrà documento tecnico. Gradite idee, critiche, commenti». E fa quasi tenerezza il responsabile welfare del Pd Davide Faraone quando ‘cinguetta’ che «sul #jobsact speriamo entrino in campo e ci diano una mano gli amanti del bel gioco e stiano in panchina i cultori del ‘catenaccio’ #daje». Non appena sono state lette, quelle pagine sono state infatti sommerse da critiche e sberleffi così unanimi da richiamare più l’immagine di un concentrico placcaggio rugbistico che non quello dell’elegante fraseggio calcistico a bordo campo.
D’altronde questa prima sortita del segretario del Pd sembra più che altro un sondaggio utile a innervosire il governo Letta, mal disposto a sopportare una sorta di commissariamento esterno. «La proposta di Renzi sulla natura dei contratti e le tutele ad essi collegati non è nuova, ma va dettagliata meglio. Quindi bisogna capire di cosa si sta parlando» sottolinea lo stesso ministro del Lavoro Enrico Giovannini. Anche perché il collega piddino allo Sviluppo economico Flavio Zanonato fa notare che «bisogna risolvere un problema non banale che è quello delle coperture. Ad esempio, per ridurre del 10% il costo dell’energia bisogna trovare 4,2 miliardi». Mezze bocciature alle quali il renziano Angelo Rughetti replica piccato: «Da spending review e abbattimento spread arriveranno fondi sufficienti per assegno e cuneo fiscale. Leggo critiche dettate più da sindrome di lesa maestà che non sui contenuti. Usciamo dai convegni e impegno per creare lavoro». Renzi potrà comunque consolarsi con le parole del commissario Ue per il Lavoro Laszlo Andor che ieri ha definito quelle scarne paginette «un nuovo programma» che sembra «andare nella direzione auspicata dall’Ue in questi anni. Ovvero rendere il mercato del lavoro più dinamico ed inclusivo, affrontando i temi delicati della disoccupazione giovanile e dell’occupazione delle donne. Aspettiamo i dettagli».
Perplessità da sindacati e alleati
Chi non aspetta è Forza Italia, che pure con Francesco Paolo Sisto fa notare come «Renzi dimostra di avere ‘fiducia zero’ in questo esecutivo, tanto da proporre dei progetti assolutamente alternativi». Quanto al merito, per Renato Brunetta «quello che si è letto è di una pochezza tecnica, culturale, politica e scientifica spaventose. Il sussidio universale significa più contributi, quindi più costi per le aziende; la ‘legge sulla rappresentatività sindacale’ mette nelle mani della magistratura la ‘certezza’ degli accordi sindacali; la presenza nei Cda delle aziende di rappresentanti eletti direttamente dai lavoratori fa venire i brividi; la sostituzione degli attuali contratti di lavoro flessibili con un contratto unico a tempo indeterminato, senza toccare l’articolo 18, va contro i lavoratori e produce effetti addirittura peggiori delle già pessime riforme Fornero».
Dai sindacati l’unico commento positivo arriva dal leader della Cisl Raffaele Bonanni («Siamo tendenzialmente favorevoli»). Quanto alla Cgil, se Susanna Camusso si felicita del fatto che il Pd torni finalmente a parlare di lavoro ma confessa la sua delusione («Avremmo sperato in una maggior ambizione»), più duri sono i giudizi del segretario confederale Vincenzo Scudiere («Al momento la proposta mi sembra propagandistica, c’è poco di concreto») e di Giorgio Cremaschi («È una porcata reazionaria»).
La bocciatura arriva anche dagli alleati della maggioranza
L’ex ministro Maurizio Sacconi (Ncd) sostiene che il «nodo dell’art. 18 è inesorabile» e fa sua la definizione del vicepremier Alfano, che definisce la bozza «una old soup, una vecchia minestra». Questo testo si rivela insomma «una versione aggiornata del vecchio approccio ideologico al lavoro». Poche aperture anche da Scelta civica: «La filosofia di Renzi è un’illusione, ovvero quella di poter creare lavoro per decreto, facendo la caricatura del Job Act che è stato fatto negli Stati Uniti» osserva Andrea Causin. Scettica anche Linda Lanzillotta: «Renzi continuerà a voler fare l’agitatore del popolo delle primarie o imposterà un lavoro serio che coinvolga le migliori energie del Paese? Ha poche settimane per dimostrarlo». Quelle che forse mancano a una crisi di governo, che trasformerebbe il Job Act in un utile manifesto elettorale.