Gli intenti coincidono. Nella maggioranza sembra proprio che si sia trovata ina quadra sulla nuova legge elettorale che, dopo l’adozione scorsa settimana del testo base in commissione Affari costituzionali, può proseguire il suo iter. Del resto il segretario dem Nicola Zingaretti era stato molto chiaro: “Apriamo il cantiere istituzionale delle riforme per garantire istituzioni che funzionino meglio, in perfetta sintonia con il dettato costituzionale” e la riforma del sistema elettorale, prevista nell’accordo di governo coi 5Stelle, è più che mai necessaria in virtù del futuro assetto che avrà il Parlamento nella prossima legislatura per gli effetti del taglio al numero degli eletti. E perentorio era stato anche il tono sulla soglia di sbarramento prevista dal Germanicum o Brescellum che dir si voglia.
“Non ci sono margini di discussione. La soglia del 5% non è discutibile, non è messa lì a caso, ma è il frutto di un compromesso”. Ora che anche Matteo Renzi, pur essendo all’inizio per ovvie ragioni non entusiasta di uno sbarramento all’ingresso relativamente alto, si è detto d’accordo con la soglia fissata, gli ostacoli sulla via dell’approvazione definitiva si diradano non poco, visto che potrà essere varata anche senza i voti di parte dell’opposizione e di Leu. L’unica condizione posta dal leader di Italia Viva è l’introduzione delle preferenze, ma su questo i 5Stelle sono assolutamente in linea – è stato proprio il presidente della Affari costituzionali Giuseppe Brescia, che ha scritto la legge, a parlarne per primo –, così come il Pd e la presidente di FdI Giorgia Meloni.
L’unico a non volerle è Matteo Salvini, del resto con l’introduzione del voto di preferenza accordato direttamente al candidato rispetto ai listini bloccati in cui candidati sono eletti secondo un ordine precostituito, si limita notevolmente il potere delle segreterie e dei cosiddetti “cerchi magici”. Vince chi ha più voti: gnuno corre per sè così come nel sistema proporzionale il singolo partito, a prescindere che faccia parte o meno di una coalizione, viene “pesato” dagli elettori.
E questo aspetto fondamentale taglia alla radice e destituisce di ogni fondamento la questione delle alleanze: il riferimento è alla polemica innescata nelle ultime settimane da Alessandro Di Battista e da altri “dissidenti” all’interno del MoVimento 5 Stelle sull’opportunità di dare vita ad un’alleanza più strutturata con il Partito democratico, sia per quanto riguarda le elezioni amministrative – e abbiamo visto che il “modello Pomigliano” in questo senso è risultato vincente – sia eventualmente alle elezioni politiche.
Col proporzionale, va da sé, ogni alleanza pre elettorale è priva di logicità: gli accordi si fanno a urne chiuse e su base programmatica. E in ogni caso, come ha ricordato ieri il presidente della Camera (e grillino della prima ora) Roberto Fico “l’alleanza con il Pd non è la morte nera, qualcuno dimentica che gli iscritti al M5S hanno votato l’alleanza di governo con il Pd adesso, le intese locali”.