Il partito di Matteo Renzi corre in aiuto di Vittorio Colao (nella foto). Ovvero parte alla carica per alzare i limiti all’elettrosmog e adeguarli così al resto d’Europa. Da ex ceo di Vodafone, l’attuale ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale, conosce bene la materia e anche se, nelle uscite pubbliche, sull’argomento ha cercato sempre di mantenersi in equilibrio, tra antenne e salute, è noto come la pensi.
Nel piano che consegnò all’allora premier Giuseppe Conte (leggi l’articolo) sostenne, per accelerare lo sviluppo delle reti 5G, la necessità di “adeguare i livelli di emissione elettromagnetica in Italia ai valori europei, oggi circa 3 volte più alti e radicalmente inferiori ai livelli di soglia di rischio”. Il blitz Italia viva lo tenta con un emendamento al disegno di legge che dispone la conversione del decreto-legge del 31 maggio, avente ad oggetto la governance del Pnrr e le prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure.
L’articolo 40 del provvedimento (qui il testo) assegnato alle commissioni riunite Affari Costituzionali e Ambiente della Camera, in sede referente, è relativo alle “Semplificazioni del procedimento di autorizzazione per l’installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica e agevolazione per l’infrastrutturazione digitale degli edifici e delle unità immobiliari”.
Ebbene, la proposta emendativa firmata da Luciano Nobili, Silvia Fregolent e Marco Di Maio, prevede di inserire il seguente comma: “Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 199 del 28 agosto 2003, già abrogativo del decreto del Ministro dell’ambiente 10 settembre 1998, n. 381, è abrogato”. Che tradotto significa mandare in soffitta la normativa sui limiti all’elettromagnetismo che in Italia sono inferiori rispetto alle indicazioni europee e a quelli adottati da altri paesi Ue.
Le raccomandazioni sui limiti di esposizione ai campi elettromagnetici sono suggerite da linee guida internazionali di Icnirp (la Commissione internazionale perla protezione dalle radiazioni non ionizzanti che è un ente di diritto privato riconosciuto dalla Ue) e dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Le Linee Guida sono state emesse nel 1998 e successivamente aggiornate a marzo 2020. Secondo queste, il limite di esposizione per la popolazione è stato individuato considerando il valore minimo a cui si sono verificate evidenze di effetti e dividendo tale valore per 50.
In alcuni paesi, come Francia, Regno Unito e Germania, sono state seguite tali linee guida, che ad esempio per le frequenze utilizzate per il 4G prevedono un limite di 61 volt al metro, mentre Grecia e Belgio, per esempio, hanno scelto limiti più bassi (rispettivamente 47 e 31 volt al metro). L’Italia ha adottato limiti ancora più stringenti: 6 volt/metro nelle aree con una forte densità di persone. Ma in realtà non c’è solo Iv a promuovere il superamento della normativa italiana, la tentazione attraversa trasversalmente anche altre forze politiche.
Tanto che a fine marzo la Relazione sul Recovery votata dal Parlamento, con le osservazioni al governo, era stata chiara: “Si valuti l’opportunità di adeguare gli attuali limiti italiani sulle emissioni elettromagnetiche a quelli europei”. Un simile suggerimento era arrivato dall’Antitrust. Sempre a fine marzo, in una lettera inviata al premier con proposte legate alla legge annuale per il mercato e la concorrenza, l’Authority ha chiesto di verificare la validità dei limiti elettromagnetici che “appaiono essere estremamente ridotti rispetto a quelli raccomandati in sede europea” costituendo “una barriera all’entrata e all’espansione di nuovi operatori e di nuovi servizi”. Chissà che Colao e Draghi riescano dove altri hanno fallito, con buona pace dei vari comitati No-5G.