Una seconda posizione che, a un primo sguardo, non è proprio motivo di orgoglio. L’Italia, infatti, è sul podio, esattamente sul secondo gradino per i casi di doping a livello olimpico. “Questo dato si può leggere in due modi: o siamo un Paese che fa largo uso di sostanze dopanti, oppure che siamo un Paese che controlla, dove c’è un setaccio e una maglia e non si passa”, ha affermato il presidente del Coni, Giovanni Malagò, nel corso di un’audizione in Commissione Istruzione pubblica, beni culturali, ricerca scientifica, spettacolo e sport al Senato. Ma il dato non preoccupa. Perché viene considerato una diretta conseguenza di controlli numerosi e soprattutto efficaci nel constrato ai comportamenti illeciti. A dare manforte a questa tesi, c’è stato anche l’intervento della senatrice del Partito democratico, Josefa Idem, campionessa olimpica di canoa: “L‘alto numero di atleti positivi non significa per forza che esiste un doping di Stato, ma che vengono svolti più controlli rispetto magari ad altri Paesi”. Dunque, l’Italia tende a essere più severa almeno in questo campo.
“Sulla lotta al doping abbiamo avuto una serie di attestati impressionanti da parte del Comitato olimpico
internazionale e della Wada”, rivendica il numero uno del Coni. “Su questo tema abbiamo fatto passi da gigante, grazie alla nascita della Nado-Italia, oggi organismo indipendente dal Coni e con a capo una persona di carattere e autorevole come il generale Leonardo Gallitelli. Abbiamo raddoppiato il numero delle persone che lavorano e il budget sui controlli a sorpresa, oltre ad aver adottato il sistema Adams che ci consente di poter lavorare al meglio in materia di privacy“, ha rivendicato ancora Malagò. Tuttavia, di fronte ai senatori, è stato preso un impegno a migliorare il lavoro svolto.