di Nicola Tarantino
L’Italia è pronta a impegnarsi per un intervento di operazione di pace in Libia, se le Nazioni Unite lo chiederanno. Questo l’annuncio del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni rilanciando la volontà del Bel Paese di essere “in prima fila” in una eventuale missione, rigorosamente su mandano Onu. Gentiloni, inoltre, ha spiegato in un’intervista su Repubblica che “la Libia rappresenta per noi un interesse vitale per la sua vicinanza, il dramma dei profughi, il rifornimento energetico. Non a caso manteniamo aperta a Tripoli la nostra ambasciata che fornisce un supporto logistico insostituibile alla mediazione dell’Onu”.
LA RESA DEI CONTI
L’avviso del ministro è arrivato perché in Libia, due giorni fa, l’aviazione e le forze dell’ex generale Khalifa Haftar, che combattono gruppi islamici e jihadisti filo-Isis, hanno lanciato raid aerei sull’aeroporto militare di Mitiga, l’unico ancora in uso a Tripoli, su ordine del governo transitorio, esiliatosi a Tobruk ma riconosciuto dalla comunità internazionale. Tra le due fazioni è intervenuto l’inviato speciale dell’Onu, Bernardino Leon, con un appello ad Al Thani a fermare i bombardamenti sull’aeroporto per contribuire a riportare la calma e ad avviare un dialogo con Tripoli. Appello cui si è associata anche l’Italia che preme per una trattativa tra le parti. Secca la risposta del premier libico che ha posto le sue condizioni: i raid si fermeranno quando le milizie avranno lasciato la capitale, permettendo l’ingresso della polizia e dell’esercito regolari. E quando il fronte islamico dell’ovest avrà riconosciuto il governo di Tobruk come l’unico legittimo.
LA SPACCATURA
Ma la spaccatura tra est e ovest è precipitata alcune settimane fa, quando la Corte Suprema ha definito “illegittimo” il parlamento di Tobruk, eletto a giugno, permettendo così alle milizie di Tripoli di riesumare l’ex Congresso generale nazionale che è tornato a rivendicare il ruolo di unica istituzione “legale e ufficiale” della Libia. Insomma, sul campo la situazione resta tesissima.