È di 210 miliardi di euro il conto che disastri naturali e cambiamenti climatici hanno presentato al nostro Paese. Si tratta di un costo pesantissimo pari all’intero importo del Pnrr e a dieci manovre finanziarie. Di questi 210 miliardi, ben 111 sono determinati dagli effetti dei cambiamenti climatici. “Ecco perché la cura del territorio non è un costo, ma un investimento sul sistema Paese”. A dirlo è Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, commentando i dati emersi dal Focus Censis-Confcooperative presentato in occasione della giornata mondiale della terra.
Quanto ci sono costati i disastri naturali
Lo studio Censis certifica, dati alla mano, come negli ultimi 40 anni un terzo del valore dei danni provocati da eventi estremi nella Ue sia stato “pagato” dall’Italia. “Venendo agli ultimi anni parliamo di 42,8 miliardi solo dal 2017 al 2022. Nel 2022 è costato quasi 1% di Pil, lo 0,9% per l’esattezza, pari a 17 miliardi circa: un importo – precisa Gardini – poco inferiore a una manovra finanziaria”. Ben una Pmi su 4 – aggiunge Gardini – sono minacciate, perché localizzate in comuni a rischio frane e alluvioni e presentano una probabilità di fallire del 4,8% più alta di quella delle altre imprese una volta che si sia verificato l’evento avverso.
Tra il 1980 e il 2022, in Italia le perdite economiche causate da eventi estremi e da disastri naturali si attestano sui 210 miliardi di euro. I cambiamenti climatici hanno prodotto danni per 111, di cui 57,1 miliardi di euro per alluvioni; ondate di calore, con un costo pari a 30,6 miliardi (14,6%); le precipitazioni per 15,2 miliardi di euro (7,2%). Siccità, incendi boschivi e ondate di freddo, invece, hanno causato danni per 8,2 miliardi. I disastri: poco meno di 100 miliardi, sono imputabili a terremoti, eruzioni, frane e altri fenomeni geofisici.
Che l’Italia non sia messa bene sulle questioni ambientali è quanto emerso anche dall’ultimo rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes) dell’Istat. In particolare nel 2022, rispetto all’anno precedente, peggiora la qualità dell’aria; cresce il consumo di materiale interno e diminuisce la produzione di energia da fonti rinnovabili.
Inoltre non migliorano il consumo di suolo e la dispersione di acqua potabile. Nel 2023, poi, gli effetti dei cambiamenti climatici sono sempre più evidenti in termini di estremi di temperature. A fronte di questi dati, l’Italia del governo Meloni si sta distinguendo per posizioni retrograde che vanno in direzione contraria rispetto alla transizione ecologica.
Governo indifferente
Se l’Europa sta annacquando il Green deal, ovvero il piano adottato dalla Commissione Ue nel 2019, è anche perché Paesi come l’Italia meloniana si stanno mettendo di traverso a direttive cruciali come quelle sulla qualità dell’aria e sugli imballaggi e sui rifiuti da imballaggio, che sono all’esame del Parlamento europeo proprio in questi giorni. Ma la lista dei no delle destre italiane ai temi della transizione ecologica sono diversi. Dal no alla direttiva sulle case green alla guerra contro lo stop ai motori endotermici. Al contrario spicca l’impegno per il nucleare pulito, che ancora non esiste, o per i rigassificatori. Proprio un bel biglietto da visita per l’Italia che si appresta a ospitare dal 28 al 30 aprile a Venaria Reale, vicino a Torino, il G7 dell’Ambiente.