Neppure quando ci sono i soldi a disposizione riusciamo a portare avanti dei progetti per far crescere il Paese. E soprattutto non riusciamo a farlo nelle aree depresse, quelle che di lavoro avrebbero bisogno come il pane. Lo certifica la Corte dei Conti nella relazione appena stilata dalla Sezione centrale di controllo per gli affari comunitari ed internazionali sui rapporti finanziari con l’Unione europea e l’utilizzazione dei fondi comunitari.
I magistrati contabili specificano che “permane, generalmente, la differenza, in termini di effettività della capacità di spesa, tra le regioni più sviluppate e quelle meno sviluppate, nel senso che le prime spendono meglio e più delle seconde. La (paradossale) conseguenza di ciò è che decenni di politiche di coesione non sembrano avere sortito, in Italia, gli effetti per i quali esse sono state ideate, cioè ridurre il divario tra le aree più sviluppate e quelle meno sviluppate”.
Nel 2018 l’Italia ha versato all’Ue, a titolo di risorse proprie, la somma complessiva di 17 miliardi (+23,1% rispetto all’anno precedente), mentre l’Unione ha accreditato complessivamente al nostro Paese la somma di 10,1 miliardi. Il “saldo netto negativo”, sempre per la Corte dei Conti, si accentua sensibilmente e ciò accade nonostante si registri un aumento sensibile degli accrediti (+6,5%) rispetto al precedente esercizio, in cui l’importo delle assegnazioni era pari a 9,5 miliardi in termini assoluti. in tema di frodi e irregolarità in materia di risorse proprie. Senza contare che l’Italia si colloca in nona posizione per numero di irregolarità segnalate in tema di frodi, in particolare negli appalti.