La tempistica, come al solito, è un po’ sospetta. E alimenta qualche suggestione. Ma il fatto è come minimo inquietante. Proprio in questi giorni sui tavoli dei principali investitori internazionali è arrivato un dossier di Moody’s, una delle “regine” dei rating (ovvero le pagelle sulla solvibilità dei singoli Paesi). A riceverne copia, ovviamente, è stato anche il nostro ministero dell’Economia, guidato da Pier Carlo Padoan. Si tratta di uno studio di 39 pagine, datato 30 giugno 2017, che analizza tutti i default sovrani dal 1983 al 2016. Una carrellata che censisce 25 crac statali, dai casi meno celebri a quelli più conosciuti come la Grecia e l’Argentina. L’Italia, naturalmente, non è mai citata all’interno del dossier. Ma per il Belpaese la notizia potenzialmente ferale è contenuta nella tabella 10 di pagina 13.
La tabella – Qui Moody’s illustra il modo in cui crescono le probabilità di fallimento dei Paesi in base al loro rating. La progressione negli anni di queste probabilità, naturalmente, è piuttosto critica per la fascia di rating compresa tra “Baa” (che nel linguaggio di Moody’s vuol dire un grado di protezione medio dal rischio Paese) e “B” (che indica un debito statale con una bassa probabilità di essere ripagato). Ebbene, dallo studio emerge che l’aumento delle probabilità di default negli anni sono ancora piuttosto controllate per i Paesi che hanno una pagella “Baa”. Ma quando si scende a “Ba” e “B” la situazione si fa particolarmente complicata, con percentuali di rischio che tendono ad aumentare in una proiezione a 10 anni. Che c’entra l’Italia? Semplice. L’ultimo giudizio rifilato da Moody’s a Roma è un “Baa2”, in pratica un “Baa” in fase declinante e pericolosamente vicino al “Ba”. Traducendo in termini più chiari, per l’Agenzia di rating il Belpaese oscilla tra un grado di protezione medio del suo debito e una situazione di debito con un certo rischio speculativo (che sarebbe il giudizio “Ba”). Ora, se si vanno a visionare le serie statistiche elaborate da Moody’s viene fuori che i Paesi con giudizio “Ba”, quello al quale l’Italia è molto vicina, hanno un tasso di fallimento che a partire dal quinto anno supera il 5%, per poi arrivare all’11% del decimo anno. Percentuali ancor più pesanti nel caso di una pagella “B”. Insomma, l’Italia non viene citata direttamente, ma di fatto lo studio delinea per il Belpaese un rischio di non poco conto. Per carità, Moody’s non sarà l’oracolo di Delfi. E il giudizio definitivo sulla resilienza di un Paese si fonda anche sui rating emessi dalle altre Agenzie. Ma il fatto che il dossier sia finito in Italia è un avviso.
Il retroscena – E qui c’è anche una “strana” coincidenza. Il report di Moody’s, infatti, ha cominciato ad avere diffusione proprio mentre l’altro ieri a Montecitorio si è tenuto un covegno sul debito pubblico organizzato dal Movimento 5 Stelle alla presenza di numerosi economisti, anche esteri. Un modo, è stato detto, attraverso il quale i grillini stanno cercando di accreditarsi come forza di Governo di fronte a interlocutori internazionali. E’ un fatto che durante l’evento è stata annunciata da parte di Davide Casaleggio e Luigi Di Maio l’intenzione di ridiscutere il Fiscal Compact. E il dossier Moody’s, chissà quanto casualmente, è una risposta.
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