Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha tagliato le stime del Prodotto interno lordo dell’Italia. Confermando che la situazione resta critica. Nel 2016, infatti, la crescita sarà dell’1%: nell’ultima proiezione era dell’1,3%. Nel 2017 andrà lievemente meglio con il Pil al +1,1% (-0,1% in confronto alla precedente previsione). Il World Economic Outlook ribadisce quanto il governo il Governo aveva scritto nel Def con il rallentamento della ripresa, che nel 2015 è stata dello 0,8%.
Per il futuro si prospetta addirittura il sorpasso da parte della Grecia, che nel 2021 dovrebbe vedere una crescita dell’1,5%, mentre l’Italia si fermerà al +0,8%, come l’anno appena chiuso. Certo, la condizione di Atene è diversa visto che il Paese arriva da anni di pesantissima recessione. D’altra parte le stime sulla modesta crescita risuonano come una bocciatura dell’azione politica. Qualche buona notizia potrebbe arrivare dal calo della disoccupazione: il tasso è previsto sotto l’11%, esattamente al 10,9% nel 2017. Nell’anno in corso dovrebbe attestarsi all’11,4%.
Il quadro globale tracciato dal Fmi
L’unica parziale consolazione per l’Italia è che la crescita globale resta “troppo bassa” e con un andamento “deludente”. Il Pil mondiale 2016 sarà del +3,2%, mentre il prossimo anno si attesterà al +3,7%. Nell’area euro il dato è ancora peggiore con un miglioramento dell’1,5% nell’anno in corso e dell’1,6% nel 2017. Al di là delle stime, la ripresa globale “dipende fondamentalmente da un rialzo della crescita nei mercati emergenti e nelle economie in via di sviluppo visto che la crescita nelle economie avanzate dovrebbe rimanere modesta, in linea con un potenziale di crescita indebolito”, ha spiegato il Fmi del suo documento.
Il consigliere economico del Fondo monetario internazionale, Maurice Obstfeld, ha sottolineato alcuni elementi di criticità come “il protrarsi di una violenta instabilità in molti Paesi, soprattutto la Siria, continua a danneggiarne le economie, portando milioni di rifugiati verso i Paesi confinanti e verso l’Europa” e come la “reale possibilità che il Regno Unito esca dall’Unione europea, danneggiando un’ampia serie di relazioni commerciali e di investimenti”.