di Valeria Di Corrado
Le statistiche dicono che quando un ente pubblico è in perdita viene commissariato. Eccezion fatta, a quanto pare, per chi le statistiche le fa di mestiere. L’Istat, infatti, pur avendo chiuso, per due anni consecutivi, la propria gestione finanziaria con il segno meno (per milioni di euro) non ha ancora visto un commissario straordinario bussare alla sua porta. Persino la Corte dei Conti, incaricata di controllare lo stato di salute dell’Istituto nazionale di statistica dalla legge 259 del 1958, ha certificato a febbraio che i conti non tornano. Nel 2010 il disavanzo accumulato dall’ente ha toccato i 23 milioni e 848 mila euro. L’anno dopo le cose sono andate, per modo di dire, meglio. A fronte di 445 milioni di entrate, ne sono stati spesi 456. Per un totale di 11 milioni e mezzo di perdita.
Il decreto legge 98 del 2011 prevede che “nel caso in cui il bilancio di un Ente presenti una situazione di disavanzo di competenza per due esercizi consecutivi, i relativi organi, ad eccezione del collegio dei revisori o sindacale, decadono ed è nominato un commissario”. Lo stesso Ministero dell’Economia e delle Finanze ha sottolineato la necessità che l’Istat “assuma ogni utile iniziativa tesa a ricondurre la gestione, in particolare quella corrente, su un piano di equilibrio economico-finanziario duraturo”. Ovviamente, fatta la norma, nel nostro Paese si trova subito l’eccezione. La Ragioneria generale dello Stato ha, in sostanza, elaborato un modo per derogare al dl 98/2011. Con la circolare 33 del 2011 si stabilisce, infatti, che “la presenza di un disavanzo di competenza per due esercizi consecutivi non è sintomo di per sé di squilibrio finanziario della gestione e non comporta l’automatica applicazione della norma in esame”. Per questa ragione il commissario straordinario non ha ancora varcato la soglia della sede centrale di via Cesare Balbo, a Roma.
Il capo
Enrico Giovannini, presidente dell’Istituto nazionale di statistica dal 2009, è ancora lì al suo posto, a 270 mila euro all’anno, e ci rimarrà almeno fino alla scadenza del mandato quadriennale, cioè ad agosto di quest’anno. Lo stesso Giovannini, in realtà, si è appellato al Parlamento per richiamare l’attenzione sulla situazione economica dell’Istat, in occasione dell’approvazione del bilancio 2012. In base al finanziamento ordinario già deliberato per gli anni 2013-2014 l’ente – ha spiegato – non sarà in grado di assolvere alla sua funzione. Eppure, dalle erogazioni dello Stato degli anni passati, non sembrerebbe emergere la volontà di trascurare l’Istat. Ammontano alla cifra tonda di 300 milioni i trasferimenti concessi nel 2010. Ben 382 milioni quelli relativi all’anno 2011. Le fonti pubbliche costituiscono in totale il 97% delle entrate. Mentre un ben più esiguo introito (circa un milione e mezzo di euro) deriva dalle prestazioni fornite dall’Istituto.
Le spese
Il costo del personale, invece, è lievitato a distanza di un anno da 120 milioni a 138. Nel biennio 2010-11, infatti, le persone assunte a tempo determinato sono passate da 4 a 397 unità per “far fronte alle esigenze temporanee ed eccezionali connesse all’esecuzione dei censimenti”. Ma non è questo il capitolo di spesa più consistente. Per i cosiddetti “servizi” sono andati in fumo 184 milioni nel 2010 e ben 240 l’anno dopo. Per avere la misura del “prima” e del “dopo” bisogna considerare che nel 2009 erano stati spesi “solo” 30 milioni. Anche qui la giustificazione è da ricondurre ai censimenti. Per quello dell’agricoltura il costo è stato di 115 milioni di euro. Stessa cifra per quello delle istituzioni no profit. Mentre il 15esimo Censimento generale sulla popolazione è costato 200 milioni di euro per l’anno 2011, 277 milioni per il 2012 e altri 150 per il 2013.